Nella fabbrica della street art

17 Aprile 2013


È il simbolo della faticosa rinascita di un’intera area nel cuore d’Europa: un tempo motore insostituibile di un’economica basata sull’industria pesante, poi vittima dell’inesorabile cambiamento di orizzonti. Che ha portato alla chiusura delle fabbriche, diventate autentiche cattedrali nel deserto. L’acciaieria di Volklinger, nella Saar, un tempo la più grande del Vecchio Continente, è oggi spazio consacrato all’arte e alla cultura.

Gli immensi e suggestivi spazi che accoglievano gli altiforni, oggi aprono le proprie porte alla prima Urban Art Biennale, appuntamento che chiama a raccolta oltre trenta street artist in arrivo da ogni angolo del mondo. Il colore bruno dei mattoni e il grigiore dei metalli si accende delle tinte sgargianti di stencil e spray; il sito di Volklinger, tutelato come patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, trova nella più stretta contemporaneità nuova linfa vitale.

Non mancano, naturalmente, i big della street art. Partendo dall’americano Shepard Fairey, celebre nel mondo per i suoi messaggi a sfondo politico e sociale; arrivando al francese Space Invader, che da anni sfrutta l’immaginario collettivo legato alle figure dei primi videogame: le sue navicelle spaziali adesive occupano con ironica inquietudine le città di tutta Europa, spuntando in maniera incontrollata su muri e saracinesche.

La Biennale, inaugurata in questi giorni e aperta fino al prossimo 1 novembre, omaggia due grandi maestri della street-art, entrambi scomparsi prematuramente: da un lato Donald White, il leggendario Dondi, pioniere della scena newyorchese dei primi Anni Ottanta; dall’altro Rammellzee, tra i nomi di punta della corrente del Futurismo Gotico, che ha proposto in via iconica una riflessione sulle lettere dell’alfabeto. Mettendo in crisi il rapporto tra segno e significato.