Le danze tribali di Juan Downey

19 Agosto 2013


È stato attento sperimentatore, indagatore del territorio dove tradizione e avanguardia si incontrano. Ha vissuto a stretto contatto con le popolazioni tribali del Sudamerica, addentandosi al seguito dei clan Yanomani nelle più profonde alcove della foresta amazzonica: traendo da un’indagine che è in primis etno-antropologica spunti determinanti per lo sviluppo della sua arte. Città del Messico celebra, fino al 25 agosto, Juan Downey.

Documentarista, fotografo, performer e artista concettuale. A vent’anni dalla sua scomparsa e a più di dieci dalla selezione dei suoi lavori all’interno della Biennale di Venezia, il Museo Tamayo mette in scena la più grande retrospettiva mai dedicata all’artista cileno. Figura modernissima, lettore appassionato delle diverse declinazioni che la società assume nei più disparati contesti ambientali. Lettore analitico dei rapporti relazionali, usati come chiave di volta per interpretare i misteri dell’uomo.

È il video il linguaggio privilegiato di Downey, autore di innovative ricerche sulla costruzione dei format televisivi, sui metodi di comunicazione di massa  sviluppati attraverso il piccolo schermo. Dura quindici anni la formulazione di The Thinking Eye , opera che testimonia il rapporto simbiotico dell’uomo con la tv, dimostrando quanto i processi di accrescimento della cultura personale e collettiva si orientino in maniera armonica con le tecniche massmediali.

L’uomo visto come aggregato di energia, animato da un costante scambio di input e di output. Una lettura esemplificata nelle straordinarie Videodances  degli Anni Settanta, con i ballerini che si scatenano in danze tradizionali in uno spazio definito da onde elettromagnetiche, creando nuovi modelli di interazione e innovativi equilibri cosmici. Una lettura che scardina i preconcetti e le sovrastrutture culturali, scavando in profondità. Verso le nostre più profonde radici comuni.