Napoli: come nasce un museo. In mostra al MADRE

2 Gennaio 2014


Ha conosciuto momenti difficili il Museo MADRE, eroico nel tenere accesa a Napoli la fiammella dell’arte contemporanea. Il taglio dei fondi pubblici, i debiti verso la società di servizi che garantiva l’apertura della struttura, le voci su una possibile chiusura e il conseguente ritiro da parte di diversi artisti – su tutti Jannis Kounellis – delle opere concesse in comodato. Ora che la tempesta è passata e le polemiche si sono spente è tempo di ripartire. Rifondare e ricostruire.

All’intenso programma di mostre temporanee (monumentale quella che, in queste settimane, omaggia Vettor Pisani) si lega il certosino lavoro di ricucitura del legame spezzato tra l’istituzione e l’ambiente culturale della città. A suturare la ferita Alessandro Rabottini ed Eugenio Viola, titolari del progetto Per_formare una collezione : rinasce sotto la loro regia il corpus di lavori che costituisce il cuore pulsante del museo, ne esplicita l’anima e il carattere.

Città di grandi galleristi Napoli, legata al nome dell’indimenticabile Lucio Amelio e a quelli di Lia Rumma, Peppe Morra e Alfonso Artiaco. Città di raffinati collezionisti e ottimi artisti, che all’ombra del Vesuvio sono nati e cresciuti; oppure hanno deciso di trasferircisi, sedotti dal fascino conturbante di un contesto unico. È facendo sistema con i diversi attori di una scena artistica dalla forte identità locale ma dall’innegabile aroma internazionale che si svolge il nuovo programma di prestiti e acquisizioni, giunto ora al suo secondo passaggio.

In mostra permanente, da questi giorni, il nuovo blocco di opere arrivate al museo. Ancora, come accaduto per la prima tranche, legate alla riflessione sul tema del linguaggio; questa volta declinato nella sua accezione più vicina alla valenza sociale e anche politica del ruolo dell’artista. Come dimostrano le azioni di Piero Gilardi, con i cortei degli operai nella Torino degli Anni Settanta trasformati in colorati happening dal sapore teatrale. Vere e proprie performance sindacalizzate.

Si passa poi alle prime cancellature di Emilio Isgrò e alle scritte di Vincenzo Agnetti, fino al film con cui, era il 1968, Gianfranco Baruchello offriva la sua cruda critica alle contraddizioni della società dei consumi. Opere storiche, a braccetto con interventi più recenti di Giulia Piscitelli e Jeremy Deller e alla sala che fissa – con lavori di entrambi gli artisti – l’omaggio di Mario Garcia Torres ad Alighiero Boetti.

nella foto: i “Cappelli Bullone” di Piero Gilardi – courtesy l’artista]