Roma: cinque mostre per i fantasmi del contemporaneo

29 Gennaio 2014


È un presente al collasso quello messo in scena negli spazi dell’American Academy di Roma, accogliente testimone delle Cinque mostre  che suggellano come da recente tradizione il rapporto tra artisti italiani e statunitensi. Un dialogo a più voci quello intonato da giovedì 30 gennaio, declinato secondo progetti che si integrano e si compenetrano, tessendo una trama unitaria che trasmette il senso di disorientamento nei confronti del nostro tempo e il rapporto distrofico con la memoria.

Partendo dal Concrete Ghost   ricercato da Christian Caliandro, spettro di sostanziale e incombente presenza per una selezione di opere che rivela la drammatica fragilità della figura dell’artista, mai come in questa epoca figlio di mezzo della Storia. Schiacciato tra un passato ineludibile ma pesantissimo, ed un futuro accecante nella sua nebulosità; costretto in un limbo diviso tra pulsioni archeologiche e ansie postmoderne.

Una condizione rappresentata magnificamente dalla Architettura fascista  di Giuseppe Stampone: grande fotografia della cappella che in un cimitero custodisce le spoglie dei partigiani caduti in battaglia. Ma anche nelle caduche composizioni di Tony Fiorentino, con l’innesco di processi chimici a modificare gli oggetti di una natura morta in realtà vivissima; e nelle delicate cromie su lana di Anna Gimon Betbeze. Quasi un palinsesto, antico codice custode di narrazioni stratificate.

La tensione con la Storia si misura anche nelle altre quattro mostre ospitate dall’Academy. Con la personale di Diana Machulina a giocare su un senso del grottesco e del carnevalesco che trasforma cripte e catacombe in teatro per danze felliniane; mentre Lindsay Harris chiama Mimmo Jodice e altri grandi della fotografia a leggere con il loro sguardo la tradizione della statuaria classica.

[nella foto: un’immagine da “Burn”, video di Reynold Reynolds e Patrick Jolley]