Il mito di Gustav Klimt in mostra a Milano

12 Marzo 2014


Non è semplice costruire una mostra su Gustav Klimt, e non solo per la ricchezza concettuale di un autore magnificamente complesso e profondamente poliedrico. La difficoltà principale è legata a un corpus riconosciuto di opere che supera di poco i duecento pezzi, per lo più dislocati in musei e collezioni private che è raro concedano in prestito lavori tanto preziosi. Assume allora una rilevanza assoluta l’appuntamento che Milano fissa con il padre della Secessione Viennese.

Sono un centinaio le opere esposte dal 12 marzo e fino al prossimo 13 luglio nelle sale di Palazzo Reale, con venti autografi dello stesso Klimt: un’autentica impresa raccoglierne tante. Attenzione particolare viene posta agli anni della formazione del pittore, con gli esordi nel solco di un accademismo che viene presto abbandonato in favore dello sviluppo della sua personalissima e articolata visione dell’arte.

Al centro dell’opera di Klimt c’è la donna: divinizzata nel rinnovamento di iconografie classiche e mitologiche, elevata nella sua condizione di madre a simbolo stesso della vita e della natura; ma al tempo stesso sublimata in un eros a tratti vergineo e a tratti invece lascivo, conturbante, indecente. L’indagine dell’artista sulla figura femminile trova corrispondenza in mostra con opere cardine degli Anni Novanta: su tutti la Signora davanti al caminetto .

Ma è nella celeberrima Giuditta II. Salomé  oggi conservata a Ca’ Pesaro, opera iconica che caratterizza l’intera produzione del maestro, che la mostra milanese trova il proprio punto più ricco d’emozione. Bissato, nella sala conclusiva, con la copia integrale del monumentale Fregio di Beethoven  dipinto nel 1902 per il Palazzo della Secessione di Vienna: riprodotto sulla base degli accuratissimi censimenti svolti in occasione dell’ultima campagna di restauri che ha coinvolto l’opera.