Le sculture di Nanni Valentini al Museo Diocesano

18 Marzo 2014


Si è formato nella frequentazione di Lucio Fontana, facendo propria la poetica di una forma carica di sostanza; forza materica e potente che connette all’essenza della Terra, e come tale – dunque – finisce per tendere all’infinito. Un percorso affascinante, lontano dagli schemi abituali, quello condotto da Nanni Valentini: tra gli scultori più originali che l’Italia abbia conosciuto nel secondo Novecento. Protagonista di una retrospettiva al Museo Diocesano di Milano.

Un omaggio che arriva esattamente trent’anni dopo la fondamentale personale che sempre a Milano, questa volta al PAC, aveva visto esporre per la prima volta alcuni tra i pezzi più importanti del catalogo di un artista che sarebbe di lì a pochi mesi prematuramente scomparso. Un ricordo, quello allestito sotto la curatela di Flaminio Gualdoni, che sa restituire la ricca complessità di una visione profondissima. Tesa alla narrazione delle più intime mitologie dell’umano.

Nella scelta della ceramica, nello stesso atto della manipolazione delle terre e del gres, Valentini dichiara determinanti presupposti concettuali: il tocco carezzevole e sensuale dell’artista sulla materia stabilisce rapporti di inestricabile poesia, determina la natura generativa, mitopoietica, quasi materna della sua opera. Le asperità e le crudezze tattili delle superfici si riallacciano a memorie di un passato di natura tanto arcaica da risultare archeologica.

Diventa in questo senso determinante lo studio dell’arte minoica, che apre alla fine degli Anni Settanta una stagione che sembra fare riferimento in modo sempre più esplicito al pantheon tutto femminile delle ancestrali divinità mediterranee. In una coinvolgente declinazione in forme e modelli contemporanei della rappresentazione della maternità, assunta al pari della casa – luogo feticcio per eccellenza – a sintesi dove converge ogni variabile temporale.