Il teatro musicale multimediale di Andrea Molino. Da Bologna all’Europa

28 Aprile 2014


Un’orchestra di ottanta elementi, arricchita da due formazioni di percussionisti di estrazione jazz e due sassofonisti. L’effetto straniante e al tempo stesso ammaiante di una trama sonora che affonda le proprie radici nella classica contemporanea – tra Stockhausen e Messiaen – ma che sa aprirsi a contaminazioni che si spingono fino al rock: incanta il Comunale di Bologna la nuova opera firmata da Andrea Molino, tra i più compositori italiani in attività.

Nasce da una citazione di Primo Levi il titolo di un atto unico che seduce e coinvolge fin dalle sue prime battute: Qui non c’è perché  risponde algida una guardia del campo di Auschwitz quando l’autore di Se questo è un uomo  chiede conto dell’ennesima angheria subita. La stessa drammatica affermazione guida un lavoro che Molino dedica al concetto di emarginazione ed esclusione sociale, indicando nei più giovani le vittime inconsolabili di un modernismo distrofico.

Argomento caldo, anzi scottante, quello affrontato dal compositore torinese, che chiude così idealmente la sua trilogia sul tema dell’incomunicabilità: nata con i conflitti religiosi che si agitano in Credo  e proseguita con l’analisi del rapporto tra vincitori e vinti narrato in Winners . Le tensioni si spostano ora sul piano puramente generazionale, per una resa dei conti con i fantasmi del presente, prima che con quelli del passato.

In scena in questi giorni a Bologna – prima della partenza alla volta di Anversa, Rotterdam e Gand – le voci Anna Linardou e Dave Moss, a muoversi nella scatola scenica architettata dal regista belga Wouter Van Looy. Che immagina un’ambientazione post-apocalittica, accesa da proiezioni multimediali e continui giochi di immagini in movimento; con il tema del muro, simbolo di divisione, declinato in forma digitale attraverso costruzioni di delicata poesia visuale.

[nella foto: Andrea Molino, Qui non c’è perché, 2014 – Teatro Comunale di Bologna – photo © Rocco Casaluci]