Terribile ma ironica. La Grande Guerra di Sironi in mostra a Chieti

20 Aprile 2014


Lo conosciamo per la sua tavolozza dai toni cupi; per una ricerca formale condotta da un lato verso il monumentale figurativismo classicheggiante, dall’altro nell’ottica di una narrazione del paesaggio urbano offuscato dalle trasformazioni proprie dell’industrializzazione. Non avevamo mai pensato a Mario Sironi, tra i grandi nomi del Novecento italiano, come figura ironica e pungente. Almeno prima di mettere piede a Chieti, nelle sale di Palazzo de Mayo.

Un sarcasmo schietto, immediato, quasi brutale: come giustamente dettato da un contesto duro e difficile come quello del primo conflitto mondiale. Sono una cinquantina le opere, in mostra fino al prossimo 25 maggio, che documentano l’attività giovanile del Sironi vignettista militante; artista soldato che a margine della vita di trincea – passata al fianco di Boccioni e Marinetti – porta il suo contributo alla causa dalle colonne de Il Montello  , giornale di propaganda anti-austriaca diretto da Massimo Bontempelli.

Disegni, tavole e rarissime copie superstiti della testata testimoniano per la prima volta in modo completo e sistematico la produzione a tema militare dell’artista: avvicinando alle sue vignette tele più tarde, che spaziano dai ritratti di ufficiali e commilitoni fino alle grandi tele che risalgono al periodo della sua adesione al fascismo. Con la svettante Vittoria alata  dipinta nel 1935 e i monumentali Soldati  dell’anno successivo.

L’occasione diventa propizia per un rapido ma brillante excursus nella pittura e nella grafica di genere, vissuto attraverso lavori di artisti di fama assoluta. Viviamo così grazie a Fernand Léger e Otto Dix il dramma del fronte Occidentale, lasciandoci portare poi da George Grosz nella delirante Berlino che si appresta a conoscere la bruciante sconfitta; passando poi agli entusiasmi del bellicismo futurista di Balla e Depero, Carrà e Prampolini.

[nella foto: Mario Sironi, “La sarabanda finale” – 1918]