Libri della settimana: Caravaggio secondo Sgarbi

20 Giugno 2014


I contemporanei ne capirono immediatamente la portata rivoluzionaria: molti apprezzandone l’estro creativo dirompente, altrettanti lasciandosi condizionare dal pregiudizio verso una liberalità – nell’arte come nella vita – senza freni. Poi un lungo oblio, causato dal mutamento dei gusti e degli stili; infine, nel Novecento, la riscoperta. Certo non casuale. Perché è nella nostra epoca che si rintracciano tensioni, pulsioni, contraddizioni analoghe a quelle che visse Caravaggio.

Esce per i tipi di Bompiani Il punto di vista del cavallo, l’originale lettura che Vittorio Sgarbi offre di una figura fondamentale per la cultura occidentale. Delineando il ritratto di un uomo molto più vicino al nostro tempo di quanto si possa immaginare; individuando nella sua concezione estetica, nel modo di impaginare le scene che costruiva sulla tela, un taglio che sembra anticipare di tre secoli i grandi maestri della fotografia. Come dimostra il parallelo con Robert Capa.

Sgarbi cita a titolo di esempio la celebre immagine del Miliziano morente  scattata durante la Guerra Civile spagnola: il drammatico tempismo di Capa non è dissimile da quello con cui Caravaggio blocca nell’eternità il bacio di Giuda o l’ultimo respiro di Oloferne, fuori di sé dalla rabbia e dallo stupore nell’istante che vede Giuditta tagliargli la gola. Una capacità rara, figlia di un rapporto con la realtà, con le infinite sfaccettature della vita, condotto senza compromessi.

Luci ed ombre nella vita di Caravaggio; dicotomia tra genio e sregolatezza che anticipa secondo Sgarbi l’immagine mitologica dell’artista maledetto tano cara alla cultura post-moderna. E che parifica l’ardimentosa Roma del Seicento a quella esplosiva degli Anni Sessanta del Novecento: con una figura come quella di Pier Paolo Pasolini a incarnare pulsioni analoghe – nel bene e nel male – a quelle che agitarono il Merisi.