Arte in carcere. A Milano un progetto al femminile

3 Luglio 2014


Il fattore che più impressiona in positivo, e dunque appassiona e commuove, è quello di una fisicità esplosiva, carnale, vitale e vivacissima. Riappropriazione di gesti per chiunque quotidiani – carezze, sfioramenti, a volte semplici sguardi – a loro invece spesso fatalmente negati. A loro: le donne recluse nell’ICAM di Milano, Istituto di Custodia Attenuata per Madri con prole. Luogo di detenzione, unico in Italia e primo in Europa, dove le recluse possono vivere con i propri figli, se di età compresa tra i tre e i sei anni.

Un carcere speciale dunque, creato per limitare il più possibile il trauma della separazione per chi agli obblighi di madre deve sommare quelli nei confronti della giustizia; ma pur sempre un carcere. Aperto, anzi scardinato, grazie alla forza dell’arte contemporanea. Sono in mostra da questi giorni e fino al prossimo mese di ottobre allo Spazio Oberdan di Milano le Impronte sfiorate  che Paola Michela Mineo ha raccolto negli spazi dell’istituto. Coinvolgendo le detenute in un processo creativo di commovente profondità.

La vera opera d’arte è la relazione, lo schiudersi delle comprensibili ritrosie e diffidenze; il mettersi a nudo, senza se e senza ma. Giorni, settimane, mesi, anni: Mineo è entrata in carcere in punta di piedi, un passo alla volta. Stabilendo contatti sottili, appropriandosi di storie, emozioni, ricordi, sogni, ambizioni e traducendo tutto in forma di performance. Chiedendo alle stesse detenute di farsi parte attiva del processo. Di mettersi in gioco.

Un gioco che irrompe nelle sale dello spazio milanese attraverso video, fotografie e installazioni; media diversi che finiscono inesorabilmente per misurarsi con il concetto di maschera e dunque di identità. Sono sottili strisce di gesso quelle che avvolgono piedi e mani, che ingabbiano volti e sorrisi: sono fasce e bende destinate a spezzarsi nel processo performativo, atto di rinascita.

[nella foto: Paola Michela Mineo durante al lavoro con una delle detenute dell’ICAM. Photo credit Giulia Alli]