Il Museo di São Paulo, ancora firmato da Lina Bo Bardi

19 Dicembre 2015

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Una distesa di dipinti dilaga nello spazio espositivo. Sospese a mezz’aria su tramezzi di vetro trasparente, a loro volta assicurati a blocchi di cemento, le tele si sovrappongono l’una all’altra, mentre i confini dell’allestimento si dissolvono, lasciando all’orientamento del visitatore la facoltà di decidere la successione delle opere; esposte senza alcuna classificazione cronologica, geografica o tematica.

Da qualche giorno si presenta così il display della collezione di arte antica e moderna del Museu de Arte de São Paulo. Esattamente come l’aveva pensato e progettato, nel 1968, l’architetto italo-brasiliana Lina Bo Bardi. Nata a Roma nel 1915, ma adottata dal Brasile dagli anni Quaranta, a lei si deve anche l’intera architettura modernista del museo, fondato nel 1949 dal marito Pietro Maria Bardi, giornalista, critico d’arte e gallerista, che ne fu curatore per oltre 40 anni.

Rimosso negli anni Novanta, quell’allestimento radicale e sovversivo delle modalità di esposizione museali in vigore in quegli anni (e non solo), rivive ora per volere del direttore artistico del MASP Adriano Pedrosa, con l’intenzione di “prendere le distanze da una narrazione tradizionale, eurocentrica e narrativa – ma anche dall’intero sistema dell’arte – per proporne una nuova, non gerarchica e non lineare”.
Le strutture progettate da Lina Bo Bardi sono state replicate da una ditta locale per alloggiare più di 115 opere, da Raffaello a Renoir.