Arte e perestrojka: Erik Bulatov a Montecarlo

26 Agosto 2013


È cresciuto negli anni del più granitico consenso verso il regime, in una famiglia che ha lavorato attivamente per la causa del Partito Comunista Sovietico. Si è formato nelle aule dell’Accademia d’Arte di Mosca, suggestionato dalla lezione tecnica (prima che teorica) del realismo socialista. Eppure Erik Bulatov è tra i più lucidi e attenti narratori del crollo dell’URSS, cronista di ineguagliabile immediatezza quando si tratta di restituire le tensioni di una nazione in bilico tra passato e futuro.

Trenta tele, una cinquantina tra disegni e bozzetti: fino al 19 settembre il Noveau Musée National di Montecarlo ospita, nella splendida cornice di Villa Paloma, un’ampia retrospettiva, che rivela la visione accorta e raffinata di un eccezionale comunicatore. I paesaggi sono quelli trattati dall’arte di regime, con le sterminate campagne dell’Ucraina granaio d’Europa e i cieli azzurrissimi; i volti gli stessi di operai e contadini immortalati su stampe e locandine propagandistiche.

Ma le inquadrature, così come gli sguardi dei protagonisti, svestono la baldanza di un tempo per indossare la cupa patina dell’incertezza. La marcia del contadino solitario di Wanderer  si fa disperata, con un uomo solo in fuga sotto l’inesorabile assottigliarsi degli stemmi del PCUS, presenze inquiete più che inquietanti; insegne e loghi, stemmi e marchi che campeggiano ovunque in maniera ossessiva, simboli oggi innocui di un controllo cieco e asfissiante.

Un’indagine sulla parola e sul motto, sullo slogan politico che diventa elemento che segna, interviene sferzante su ritratti e paesaggi. E trascende fino ad occupare la tela in tutta la sua interezza, trasformandosi in protagonista assoluto della scena. Sintesi concettuale profondissima, arte che reagisce ad un clima culturale avverso con una rivoluzione poetica e insieme straordinariamente gentile.