Al MoMA una mostra tutta… da ascoltare

10 Settembre 2013


L’arte? Suona benissimo! Mostra sui generis quella ospitata dal MoMA di New York fino al prossimo mese di novembre, evento tutto da ascoltare prima che da osservare. Sono sedici le opere di sound art ospitate in uno dei templi internazionali del contemporaneo, a saggiare le evoluzioni di un linguaggio espressivo maturato a partire dagli Anni Sessanta. Ed oggi arrivato a punte dei eccezionale maturità narrativa.

Si parte con Hong-kai Wang dal cosiddetto field recording , pratica che contempla la raccolta e l’utilizzo dei suoni presenti in natura; e si arriva alle altissime avanguardie concettuali dell’italo-australiano Marco Fusinato, che elabora in una elegante e sublime forma grafica i rapporti apparentemente minimi, ma in realtà profondissimi, che vede unire tra loro ogni singola nota. Nella costruzione di un mirabile fragilissimo equilibrio.

Una mostra del genere non poteva non essere interattiva. Si prova, si sperimenta, si gioca nelle sale del MoMA; e lo si fa in maniera condivisa. Una scelta precisa quella delle curatrici Leora Morinis e Barbara London, che escludono l’uso di cuffie e auricolari. Arrivando a fare dello stesso spettatore elemento fondamentale dell’opera. È il caso della panchina disegnata da Sergei Tcherepnin, che riprende un vecchio esperimento di Laurie Anderson e sfruttando le proprietà di conduzione dei tessuti naturali trasforma il corpo di chi si siede in involontario altoparlante.

Attenzione scientifica alla percezione del suono da parte dell’orecchio umano. Con Carsten Nicolai che trasmette suoni a frequenze inintelligibili, lasciando che si manifestino in forma di cerchi su uno specchio d’acqua; e Tristan Perich che dissemina un’intera parete di millecinquecento minuscoli amplificatori. Ognuno trasmette la propria nota, udibile a distanza solo nella monotona sommatoria di un piato rumore bianco: è solo avvicinandosi il più possibile che si percepiscono le varie differenze tonali.