Biennale di Lione. Parola d’ordine: narrazione

11 Settembre 2013


Ho voluto lavorare sul concetto di narrative art, con un’attenzione particolare all’idea di struttura narrativa: cioè su come questa viene formalizzata da parte degli artisti contemporanei” . Parola di Gunnar B. Kvaran, curatore della dodicesima Biennale di Lione, che spiega così la sua declinazione del termine “trasmissione”, parola chiave scelta per significare la rassegna inaugurata in queste ore. E in scena fino al prossimo mese di gennaio.

Una settantina gli artisti invitati: poche le star – spiccano su tutti i nomi di Jeff Koons, Matthew Barney e Yoko Ono – molti i giovani e giovanissimi, a confermare la tendenza di un evento che punta a tracciare nuove rotte, concentrandosi sul futuro più che sulla celebrazione del presente. Nei novemila metri quadri della Sucrière, zuccherificio Anni Trenta riconvertito dieci anni fa a spazio per la cultura, si alternano visioni ed emozioni che immaginano il mondo di domani.

Gioca sulla spettacolarità garantita dal 3D l’americana Trisha Baga, sperimentatrice che sa fare del linguaggio video uno strumento di eccezionale duttilità espressiva; al pari della connazionale Petra Cortright, nota per la sua capacità di integrare tra loro più interfacce digitali, spaziando dal video puro alla net e digital-art. Ha un impianto da ricerca archivistica l’intervento del brasiliano Jonathas de Andrade, che trasforma la documentazione di oggetti o fatti minimi in fotografia di più ampi e complessi fenomeni sociali, politici e culturali.

Ironico e irriverente Tom Sachs, protagonista in una personale accolta nella chiesa sconsacrata di Saint-Just; enigmatico Roe Ethridge, che con i suoi modelli diafani e surreali sonda la terra di confine tra arte e fotografia commerciale, svelandone le connessioni più profonde. Specchio dei tempi la riflessione di Ed Atkins che lavora sulla molteplicità semantica del termine “depressione”. Assunto a drammatica etichetta di un’epoca.