Libri della settimana: il tesoro d’Italia secondo Vittorio Sgarbi

14 Novembre 2013


Firenze, Venezia, Roma, Milano. Gli Uffizi e piazza San Marco, la Cappella Sistina e la Pinacoteca di Brera: Michelangelo, Leonardo, Perugino e Caravaggio. Il Bel Paese è tale, di nome e di fatto, grazie ai suoi luoghi iconici, antica memoria di splendore e civiltà; lo è in virtù dei grandi dell’arte del Rinascimento e dell’età moderna, nel nome di artisti che vedono il proprio nome inciso a caratteri d’oro negli annali della Storia dell’Arte. Ma non solo.

Nulla nasce dal caso. E ancora: niente si crea o si distrugge, ma tutto si trasforma. Una delle fondamentali leggi della fisica si sposa alla perfezione al campo di un’arte che è costante rielaborazione, rivoluzione, innovazione, cambiamento di stilemi formali che vengono da lontano. Lo dimostra Vittorio Sgarbi nel suo ultimo Il tesoro d’Italia, viaggio condotto per Bompiani alla scoperta di meraviglie perdute e colpevolmente dimenticate, gioielli dal fascino discreto ma irresistibile.

Tele del Pomarancio e flessuose statue in marmo del padre di Bernini: non siamo in una delle tante ricchissime chiese romane ma a Morano Calabro, nel cuore della Sila; stupefacenti affreschi romanici e austere forme architettoniche: lontano dalle grandi cattedrali della Pianura Padana, rintracciate ad Anagni o nella magnifica abbazia benedettina di Sant’Angelo in Formis, alle porte di Capua.

Modena, Fermo, Tolentino; e poi ancora le perle del Cilento: Vatolla, Perdifumo, Giungano. Riposta l’acredine del polemista, Vittorio Sgarbi riscopre il piacere di farsi affascinare, di perdersi in un petit tour  inconsueto, lungo strade interrotte che sanno però portare lontano. Confermando la specificità di un Paese che trova nella propria tradizione culturale, nella pluralità di voci che ne compongono la Storia, un coro di sublime armonia.