Sylvester Stallone pittore. Alla conquista della Russia

8 Novembre 2013


Davanti alle telecamere è una forza della natura. Estroso e infaticabile: un duro dal cuore tenero, eroe del cinema d’azione che ha sempre svelato, nei propri personaggi, grande sensibilità. Due anime, due volti. Due linguaggi espressivi tra loro diversi, che risultano però complementari. Perché alla premiata attività come attore affianca, da quarant’anni, l’intima passione per la pittura. Oggi venuta alla scoperto, condivisa con i fan e gli appassionati d’arte.

È con profonda umiltà che Sylvester Stallone sveste i panni della star di Hollywood e indossa quelli dell’artista visuale: mettendosi in gioco in modo totale, senza filtri. Per un evento dal profondo potere simbolico. Ad accogliere la sua prima retrospettiva in uno spazio pubblico di livello internazionale è infatti il Museo di Stato di San Pietroburgo, che apre le proprie porte a una trentina di lavori: realizzati a partire dalla metà degli Anni Settanta.

La mente non può non tornare al leggendario Rocky IV , all’epico scontro con l’algido Dolph Lundgren, il temibile Ivan Drago della finzione cinematografica. Eravamo in piena era Reagan, negli anni degli ultimi fuochi della Guerra Fredda, con Stallone assunto a icona del modello di capitalismo occidentale contrapposto all’ideologia statalista comunista. Da allora il mondo è cambiato. E il mito di Sly è finalmente libero da confini e pregiudizi.

Ma com’è l’arte di Rambo? Vibrante, vigorosa, vitale. Interamente giocata sull’esorcismo della sua condizione di star, con la reiterazione di immagini estrapolate dai suoi film che diventa oggetto di una intensa e dolorosa deframmentazione. Sferzanti pennellate di sapore post-espressionista sottolineano le nocche delle mani, le arcate sopraccigliari; colature figlie del dripping  di Jackson Pollock strappano la maschera al personaggio. E svelano l’intimità dell’uomo, nella sua più struggente nudità.