Dura e pura. L’Elektra di Strauss alla Scala

19 Maggio 2014


Nessuna avventurosa trasposizione modernista, nessun volo pindarico avanti e indietro nel tempo; la semplice purezza di una partitura di squisita contemporaneità, esaltata dalla limpida lettura di un maestro assoluto. Standing ovation alla Scala per la prima dell’Elektra  di Richard Strauss, così come è stata immaginata dal compianto Patrice Chéreau: alla sua memoria – il regista è scomparso lo scorso mese di ottobre – l’applauso più fragoroso da parte del pubblico milanese.

Rispettosa dell’originale la messa in scena curata da Vincent Huguet, tra i più stretti collaboratori dello stesso Chéreau: il classico sofocleo, tradotto per la lirica dal libretto di Hugo von Hoffmansthal, si dipana in un sublime e al tempo stesso terribile intreccio di rapporti incrociati tutti al femminile. Con le eroine della tragedia a camminare in equilibrio su fili dell’alta tensione, in un gioco al massacro che da psicologico diventa drammaticamente carnale.

Nella scatola scenica disegnata da Richard Peduzzi, nera come l’umore dei protagonisti e inquadrata da linee taglienti, si muovono interpreti d’eccezione. Stupefacente la duttilità interpretativa della soprano tedesca Evelyn Herlitzius, che sa restituire la complessa pluralità di sfaccettature che riconosciamo alla protagonista; convincenti anche le prove di Waltraud Meier nei panni di un’arcigna Clitemnestra e di Adrianne Pieczonka, magnifica come Chrysothemis.

Un cast rodato, già applaudito con quest’opera in occasione del prestigioso Festival di Aix en Provence nel 2013; una squadra che si adatta alla perfezione alla bacchetta del finlandese Esa-Pekka Salonen, direttore principale della Philharmonia Orchestra di Londra, che torna alla Scala dopo quattro anni. Fu lui, nel 2010, a dirigere la formazione britannica nell’esecuzione di una serata omaggio a Mahler e Janáček.

[nella foto: l’Elektra  di Strauss alla Scala – foto Brescia / Amisano]