Da Boccioni a Presicce: le città d’artista in mostra a Como

23 Luglio 2014


C’è quella “che avanza” , dipinta negli Anni Quaranta da un Giacomo Balla che con occhio fotografico si intrufola nel groviglio di travi, assi e tubolari proprio dei cantieri. E c’è naturalmente quella metafisica di Giorgio de Chirico, scenografia per riflessioni che vanno oltre l’esperienza sensibile. C’è infine quella degli scatti quasi autoptici di Gabriele Basilico, e quella evocata nelle enigmatiche surreali performance di Luigi Presicce (nella foto). C’è l’anima della città, declinata in tutte le sue sfumature, in mostra fino a fine novembre a Como.

Sono sessanta le opere selezionate da Flaminio Gualdoni per le sale di Villa Olmo, nella tessitura di un racconto che documenta come l’arte italiana degli ultimi cento anni ha saputo affrontare le trasformazioni urbanistiche; leggendo con diverse sensibilità e linguaggi tra loro differenti l’evoluzione del paesaggio antropizzato. Il tutto in un luogo, Como appunto, che porta nella memoria delle utopie di Antonio Sant’Elia e nelle realizzazione di Giuseppe Terragni il segno profondo una riflessione a suo tempo modernissima.

La mostra si apre programmaticamente con Umberto Boccioni e la sua Periferia urbana , tela del 1908 oggi in collezione privata, esposta per la prima volta in un contesto pubblico. Siamo nella città dei futuristi, esplosiva nel fulgore delle luci elettriche – conquista recente di una tecnologia idolatrata – e testimoniata nei suoi dinamismi dai vari Balla e Depero; la stessa città che, pochi anni più tardi, verrà astratta nelle geometrie di Aldo Galli o soffuso nell’inquietudine di Mario Sironi.

Il Novecento corre veloce, portando con sé il ritmo di Mario Merz e i monoliti di Arnaldo Pomodoro, gli ambienti plastici di Alik Cavaliere e le tensioni sociali di Renato Guttuso. Arrivando fino alla più schietta contemporaneità: con i binari abbandonati di Andrea Chiesi e, soprattutto, con gli scenari post-apocalittici di Giacomo Costa. Cartoline da città (im)possibili, terra di nessuno. E dunque di tutti.