L’enigma del sacro. Nella pittura di Francesco De Grandi

4 Agosto 2014


Nelle chine e nei disegni si respira il segno graffiante di Goya, la drammatica disperazione di una cronaca dell’umano che scava nei volti emaciati degli ultimi, dei derelitti, degli sconfitti; là dove le tele si popolano invece di maschere desolate, per un carnevale della solitudine che ricorda le magnifiche scene collettive di James Ensor. E si trasforma, nei paesaggi sferzati dalla tempesta, in una ridda di riferimenti incrociati che gioca con Giorgione e i grandi maestri del Romanticismo.

È un lavoro ricco di suggestioni quello del palermitano Francesco De Grandi, in mostra alla Pinacoteca Comunale di Marsala fino alla fine di ottobre con una personale dalla straordinaria teatralità. Sospesa tra reminiscenze pirandelliane e danze macabre, riferimenti alla grande tradizione di un’arte sacra da saccheggiare sia sotto un punto di vista iconografico che concettuale. Assumendo proprio il tema dell’insondabile mistero dell’assoluto a filtro per una rinnovata introspezione.

Non è consueto imbattersi in un artista che oggi scelga il medium della pittura, genere ripudiato dalla cultura post-moderna, negletto, a tratti umiliato e offeso. Ed è ancora meno frequente imbattersi, tra quanti fanno questa scelta coraggiosa, in qualcuno capace di abbandonarsi in modo consapevole alla figurazione, fuggendo i concettualismi di una fuga dalla realtà che spesso svapora in una consolatoria astrazione.

De Grandi non scappa dalle domande che sente imposte al suo essere artista, dagli interrogativi che gli chiedono insistentemente di essere narratore al tempo stesso intimo e universale. Di indagare l’inafferrabile verità universale di una realtà che si dipana ai suoi occhi come tumultuoso affastellarsi di fenomeni sensibili e sovrasensibili. Dove un mare in tempesta non è più soggetto per un quadro di genere, ma porta d’accesso a un maelstrom dei sentimenti.