Roma: arte da ascoltare. Al MAXXI

17 Novembre 2014


Una scultura e un’installazione possono essere senz’altro viste, percepite, vissute nella loro dimensione tridimensionale; persino toccate se l’artista lo permette. Ma possono essere ascoltate? Un tema, questo, introdotto fin dagli Anni Settanta grazie alle intuizioni critiche di Murray Schaffer, padre del concetto di paesaggio sonoro. Un tema plasmato da Hou Hanru in una mostra stupefacente, in scena fino a fine novembre al MAXXI.

Alto tasso di sperimentazione per il progetto ideato dal direttore artistico del museo romano, che chiede al suo pubblico di mettersi in gioco e lasciarsi sedurre, spiazzare e affascinare da un’esperienza immersiva totalizzante. Questo fa Open Museum Open City , trasformando la struttura disegnata da Zaha Hadid in un ammaliante carillon postmoderno, magic box  dove trovano posto installazioni di delicata profondità concettuale e grande forza espressiva.

Vale come una membrana il muro con cui Francesco Fonassi taglia lo spazio espositivo, separando un pubblico che percepisce e avverte – al di qua e al di là della barriera – l’avvicinarsi dell’altro, creando suggestioni e comunicazioni che si spostano dal poiano visuale a quello puramente empatico; mentre Justin Bennet e Haroon Mizra ricreano grazie ad una accurata azione di field recording metropolitano piccoli angoli di Roma. Tutti da ascoltare. Come nel caso dell’installazione che vede Bill Fontana distillare i magici suoni dell’acquedotto Vergine.

Ha toni quasi alla Kandindkij il progetto che vede Philippe Rahm giocare con luci e suoni, scomponendo nota per nota un brano di Debussy e rappresentandolo nell’associazione tra output sonori basilari e flash colorati; affronta invece il tema dell’incomunicabilità Jean-Baptiste Ganne, che traduce (nella foto) il Don Chisciotte  in alfabeto morse e ne usa i bit per bombardare il museo con un assordante e disperato silenzio.