La sofferenza della materia nei Cretti di Burri

25 Luglio 2015


Nell’anno in cui si celebra il centenario dalla nascita di Alberto Burri, la Regione Sicilia e il Comune di Gibellina – in collaborazione con la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri – hanno deciso di portare a compimento la grandiosa opera ambientale che il maestro progettò per la città vecchia di Gibellina, distrutta da un terribile terremoto nel 1968.

Fu realizzato a partire dal 1985, il Grande Cretto di cemento bianco con cui l’artista ricoprì le macerie della cittadina siciliana, ricalcando i pieni e i vuoti, le strade e gli agglomerati di case di quello che era stato il centro abitato. Nel 1989 i lavori furono interrotti: allora si era giunti alla copertura di circa 65mila metri quadri di superficie, a fronte degli 85mila previsti nel progetto originario.

In concomitanza con il completamento del Grande Cretto di Gibellina, il Museo Riso di Palermo allestisce una mostra monografica, Burri e i Cretti. Dal 25 luglio al 15 settembre, l’esposizione si focalizza su uno dei principali cicli della produzione dell’artista umbro.

A partire dagli anni Settanta, infatti, Burri iniziò a sperimentare con composti di caolino, zinco, colle viniliche, a volte pigmenti colorati. L’impasto monocromatico era steso su supporti di dimensioni diverse e lasciato essiccare al sole, sino a che la superficie  disidratata non si spaccava, lasciando emergere la “sofferenza” della materia sottoposta agli agenti atmosferici, risultante in un complesso reticolo di crepe.
Dai primi Cretti di piccole dimensioni, Burri arrivò a realizzare opere monumentali come le superfici di 5 metri di altezza e 15 metri di base, realizzati tra il 1977 e il 1978 per i musei di Capodimonte e di Los Angeles.