Venezia ricorda l’espressionismo astratto di Mark Tobey

7 Maggio 2017

Mark Tobey nel suo studio, 1949. Courtesy Arthur Lyon Dahl. Photo Larry Novak

La lunga settimana dell’arte veneziana, a corollario dell’attesissima Biennale, ha preso il via con la preziosa rassegna espositiva allestita negli ambienti della Collezione Peggy Guggenheim. Fino al 10 settembre, la sede lagunare renderà omaggio a un pittore chiave nella storia creativa novecentesca, ripercorrendone la carriera.

Mark Tobey. Luce filante riunisce 70 dipinti prodotti fra gli anni Venti e il cinquantennio successivo dall’artista originario del Wisconsin, autore di una vera e propria rivoluzione stilistica eppure (ancora) scarsamente considerato dalla critica e dal grande pubblico.

Organizzata dalla Addison Gallery of American Art e curata da Debra Bricker Balken, la mostra si presenta ai visitatori come la più esauriente retrospettiva intitolata al pittore nell’ultimo ventennio. Le opere protagoniste restituiscono un mix di geometrie e calligrafia, frutto dei numerosi viaggi compiuti da Tobey tra Oriente e Occidente.

Fu l’artista americano a mettere a punto la cosiddetta “scrittura bianca”, un registro pittorico ben più pacato rispetto al vigore che caratterizzava la gestualità di Pollock, con il quale Tobey condivideva il medesimo humus astratto. Un accentuato senso di intimità e la presenza di una forte componente spirituale – legata alle scelte personali dell’artista, fra cui la conversione alla fede Bahá’í – regalano ai suoi lavori un’originalità che ha fatto scuola.

[Immagine in apertura: Mark Tobey nel suo studio, 1949. Courtesy Arthur Lyon Dahl. Photo by Larry Novak]