Cos’hanno in comune i sumeri e Joan Miró?

21 Dicembre 2017


Le sale del Louvre dedicate agli antichi sumeri erano spesso e volentieri frequentate da Joan Miró, che vi si recava in cerca di ispirazioni di forte impatto visivo, come raccontò egli stesso nel 1963 allo storico Pierre Scheider. Non si tratta in realtà di un caso isolato,tanto che la Fondazione a lui intitolata ha scelto di dedicare una mostra proprio ai legami tra i linguaggi visivi della nostra epoca e quelli della civiltà ormai scomparsa.

Come spiegato dal curatore Pedro Azara, architetto, professore di estetica ed esperto in culture antiche, Sumer and the Modern Paradigm – in corso alla Fundació Joan Miró di Barcellona fino al prossimo 21 gennaio – getta luce su un rapporto di cardinale importanza per lo sviluppo di temi e stili dell’arte novecentesca, intrattenuto dagli artisti della nostra epoca con gli oggetti e i reperti archeologici provenienti dal Medio Oriente, da cui rimasero spesso incantati.
L’esposizione cerca infatti di “chiarire la moderna fascinazione nei confronti degli artefatti antichi. Cosa gli artisti ci vedessero, perché li trovassero così interessanti, a cosa puntavano gli autori quando reinterpretavano questi lavori antichi” sono tutte domande a cui l’inedita iniziativa cerca di rispondere.

Più che al fenomeno del primitivismo in generale, già dal titolo la mostra guarda all’influenza esercitata sull’arte del Novecento da parte dei reperti sumeri, restituiti al pubblico attraverso le campagne di scavo nel sud dell’Iraq, susseguitesi a opera della Gran Bretagna dalla caduta dell’Impero Ottomano fino allo scoppio della prima guerra mondiale.
Proprio questi ritrovamenti influenzarono la creazione di un “paradigma” per i tanti linguaggi e stili che gli artisti andavano elaborando nei primi due decenni del Novecento. Dallo stesso Joan Miró cui è intitolata la fondazione spagnola, allo scultore Henry Moore; da Alberto Giacometti fino a Willem de Kooning: basta pensare alla produzione di questi grandi nomi dell’arte contemporanea per rendersi conto di quanto, al netto dei gusti e dei percorsi di ricerca personali, la civiltà sumera abbia effettivamente contribuito a “fissare” un linguaggio condiviso per molta dell’arte del XX secolo.

L’esposizione mette quindi a confronto diretto le opere dei Maestri contemporanei e quasi 200 reperti, molti dei quali ancora sconosciuti al grande pubblico.
Suddivisa in 4 sezioni, la mostra ripercorre tutta la storia della “scoperta” da parte dell’Occidente di questa civiltà antica, a cominciare dal successo critico con cui i ritrovamenti furono accolti dalla comunità artistica. In secondo luogo, viene approfondito il processo di reinterpretazione di questi spunti da parte degli autori moderni, che assunsero a riferimento non soltanto gli elementi figurativi ma anche il sistema di scrittura e i miti stessi dei sumeri.
L’ultima sezione giunge fino ai giorni nostri, evidenziando come anche gli artisti viventi non siano insensibili a quanto accade in Medio Oriente, reagendo anzi alla delicata situazione geopolitica in cui versa l’Iraq e al destino incerto che attende il patrimonio archeologico dell’area.