Il Grande Cretto, eccezionalmente fotografato da Aurelio Amendola

24 Gennaio 2018


Non ha probabilmente bisogno di presentazioni la vicenda della ricostruzione di Gibellina, tra i paesi colpiti dal sisma di magnitudo 6.4 che, la notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968, rase al suolo un’ampia porzione della Sicilia orientale, interessando le province di Trapani, Agrigento e Palermo.
Alla – discussa – decisione di rifondare un nuovo centro abitato, denominato Gibellina Nuova, si affiancò la scelta dell’allora sindaco Ludovico Corrao di coinvolgere alcuni dei più importanti artisti della scena contemporanea nel processo di ricostruzione.
Come noto, l’artista umbro Alberto Burri si misurò con la dimensione lacerata della città vecchia, dando vita al colossale Grande Cretto.
L’intera Gibellina Vecchia venne dunque ricoperta con una distesa di cemento, una scelta dettata dalla volontà di tenere salde “le materie e i ricordi“, per sancire “un legame tra il bisogno di elaborazione del trauma e lo scenario storico in cui esso si materializza, antico e mitico“.

Accompagnato da una ricca selezione di foto inedite in bianco e nero dell’amico Aurelio Amendola, custode dell’archivio fotografico più ricco di Alberto Burri, e dai testi dell’analista e saggista Massimo Recalcati, il libro recentemente pubblicato da Magonza Editore ricostruisce la vicenda della realizzazione di quella che, ancora oggi, è la più grande opera di Land Art a livello globale.
Sentivo da tempo il bisogno di creare un libro sul lavoro di Alberto Burri a Gibellina, a maggior ragione oggi, dopo che la Fondazione Burri – assieme al Comune di Gibellina e alla Regione Sicilia – è riuscita a completare il Cretto secondo il progetto originario – ha raccontato ad Artribune Alessandro Sarteanesi, direttore di Magonza Editore. – Credo che si tratti di un dovere morale, una mia esigenza interiore, rendere ancora omaggio alla grandezza dell’artista e dell’uomo che, realizzando un “calco” della violenza tellurica – il Grande Cretto –, pone le condizioni di un silenzioso e perpetuo ricordo di un topos e di una identità, creando un’inedita coincidenza fra “il luogo” – ridotto a materie straziate, lacerate – e “l’opera d’arte”, simbolo sconvolgente di Storia umana”.