Tintoretto, una storia di famiglia

13 Febbraio 2019

Autoritratto Tintoretto

Il biografo Carlo Ridolfi, che a Tintoretto dedicò una pubblicazione pur basandosi sui racconti del figlio dell’artista, Domenico, scrive che un giovanissimo Jacopo Robusti si avvicinò alla pittura grazie al mestiere del padre: di professione tintore, Giovanni Battista doveva di necessità disporre nel suo laboratorio di un numero non indifferente di pigmenti, che poi il figlio – narra Ridolfi – utilizzava per dipingere sulle pareti del laboratorio invece che per le sete con cui commerciava il padre.
Se non è certa poi la storia del brevissimo apprendistato di Tintoretto presso il Maestro Tiziano – che l’avrebbe cacciato dalla bottega da lì a 10 giorni, per timore del suo evidente talento – è sicuro che comunque l’intermediazione di Giovanni Battista Robusti abbia in qualche modo favorito l’ingresso del figlio Tintoretto nel mondo dell’arte: di buona famiglia, ebbe modo precocemente di entrare in relazione con la “Venezia che conta”.

Se gli stessi scrittori dell’epoca non esitano a romanzare vicende pubbliche e private degli autori, infatti, non bisogna in alcun modo dimenticare che fino all’Ottocento gli artisti non godevano di una libertà assoluta: l’adagio che li vuole “genio e sregolatezza” era in grande misura stemperato dal fatto che la loro era una professione a tutti gli effetti, integrata nel tessuto sociale. Già nel Cinquecento pittori e scultori godevano di uno status superiore a quello di tintori e scalpellini, certo, ma non per questo potevano permettersi di vivere senza commissioni e quindi, senza una nutrita e affezionata clientela. Raccomandazioni e conoscenze in comune, insomma, non venivano affatto disdegnate.
Si pensi a tal proposito che la prima commissione di Tintoretto presso la Scuola Grande di San Marco avvenne a distanza di 5 anni dal suo primo tentativo di lavorare presso la prestigiosa sede: la fortuna arrise all’artista quando, nel 1547, a essere nominato guardian da matin fu una persona più propensa ad assegnare a lui la commessa, Marco Episcopi. Ovvero, il futuro cognato di Tintoretto…

La stessa bottega di Tintoretto sarà una “questione di famiglia”: il pittore ebbe sette figli da Faustina Episcopi, che sposò nel 1550, cui si aggiunge la figlia illegittima Marietta, nata nel 1554 da una donna straniera e comunque riconosciuta dal Robusti. Anzi, proprio Marietta Robusti sarà l’unica discendente in grado di affermarsi come pittrice, tanto che già negli anni Sessanta del Cinquecento godeva di una certa fama di ritrattista e che, per “tenerla” in casa e fare in modo che non andasse a lavorare presso una corte estera, Tintoretto la diede in moglie a un orefice veneziano.
Tornando alla bottega, però, è certo che oltre a Marietta anche il più giovane Domenico vi lavorasse: sarà il primo e maggior aiutante di Tintoretto e si farà carico della bottega paterna alla morte del Maestro, pur essendo in realtà più orientato alla letteratura.

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