Londra: l’estetica delle macerie in mostra alla Tate Britain

13 Maggio 2014


Un fascino romantico, giocato sul cortocircuito estetico indotto dalla corruzione della forma, dall’inesorabile disfacimento. Il senso di un tempo impietoso, che nel suo flusso inesorabile trascina con sé l’orgoglio di luoghi un tempo nobili; infine costretti al mesto declino. Sono cento le opere che alla Tate Britain di Londra raccontano, fino al 18 maggio, il senso dell’arte per la rovina. In uno straordinario ed eclettico catalogo di macerie.

Si parte da quelle, imperiose, colte dai grandi paesaggisti della tradizione ottocentesca: si muovono sotto le campate di cattedrali deserte e per le sale di freddi manieri John Constable e William Turner, assorti nella contemplazione delle abbazie che costellano la campagna inglese. I muri avvolti in nuvole di edera, i soffitti crollati, il silenzio a dominare scene ritratte con un senso di rispettosa e devota meraviglia.

Un sentimento quasi religioso, trasformato in epoche più vicine a noi in spirito di iniziativa, progettualità di rinascita espresse grazie al linguaggio dell’arte. Come nel caso delle sculture con cui John Latham prova, negli Anni Settanta, a trasformare elementi di fabbriche dismesse in veri e propri monumenti; o come le sovrapposizioni fotografiche che nei primi Anni Ottanta vedono Keith Arnatt confondere paesaggi odierni con immagini del loro passato.

A volte sono gli irreversibili processi di ammodernamento a sancire la morte di luoghi e spazi; altre è invece la barbarie dell’uomo ad essere risolutiva. Articolata la sezione della mostra dedicata alla narrazione dei paesaggi toccati dalla guerra: i quadri di Graham Sutherland ritraggono la Londra massacrata dalle bombe naziste, mentre le fotografie di Jane e Louise Wilson fissano i resti dei bunker tedeschi in Normandia. Drammatici baluardi abbandonati a se stessi.

[nella foto: Ruin Lust. Jane e Louise Wilson, Azeville, 2006. Courtesy Tate, Londra]