Il senso della Storia. Alla Biennale di Berlino

29 Maggio 2014


Il singolo. La comunità. La collettività. Ovvero la dimensione dell’intimità, quella della città e infine il senso di una universalità su cui riflettere in senso insieme politico e poetico. Si gioca su questo intrigante triangolo il tema dell’ottava Biennale di Berlino, fresca di inaugurazione nella triplice sede del KW Institute for Contemporary Art, cui si uniscono le location periferiche del Museen Dahlen e della Haus am Waldsee.

Circa cinquanta gli artisti invitati dal curatore Juan A. Gaitán: molti con un’opera originale studiata appositamente per l’evento, altrettanti al lavoro sull’ibridazione tra più linguaggi espressivi. È il caso di Danh Vo, tra i big della rassegna, che consegna in collaborazione con la band elettronica degli Xiu Xiu una emozionante opera a più mani, confermando il carattere volutamente dialettico della rassegna. Che non a caso si stringe attorno al Crash Pad di Andrea Angelidakis, opera relazionale che consiste nella costruzione di un ambiente dove incontrarsi, discutere, confrontarsi.

La natura particolare di Berlino, con le sue dolorose recenti trasformazioni urbanistiche – dalle devastazioni belliche al dramma del Muro, fino alle più recenti speculazioni – è il filtro attraverso cui diversi intendono porre l’accento sui modi e che vedono la storia personale dell’individuo influenzare, ed essere influenzata, da quella dell’intera comunità. Nascono così percorsi su una mappa emozionale che reimposta il concetto di spazio e tempo.

Non mancano le grandi firme della scena internazionale, ovviamente. Partendo dal sudafricano Santu Mofokeng, che presenta una cruda riflessione fotografica sul tema delle sepolture negate agli emarginati della sua terra; e arrivando a nomi del livello di Julieta Aranda, Mario Garcia Torres, Goshka Macuga, Tacita Dean e Anri Sala. Uniti in un contesto che sa creare tra i diversi percorsi tangenze forse inaspettate.