Mediterraneo d’artista. Alla Triennale di Milano

18 Giugno 2014


Esiste un filo azzurro a collegare l’Italia ai Balcani, e poi ancora la Spagna al Nord Africa, il Medio Oriente alla Francia. È il filo che scorre inarrestabile sulle rote che attraversano il Mediterrano: autostrada su acqua che da millenni unisce, più che dividere, popoli tra loro diversi. Eppure così simili in termini di orizzonti visuali, colori, sapori, suggestioni. Storie. Quelle raccontate fino al 24 agosto alla Triennale.

Dopo l’esordio al Maxxi si sposta a Milano The sea is my land , mostra che celebra il primo secolo di vita della Banca Nazionale del Lavoro. Con una raccolta di oltre venti artisti provenienti da nazioni che si affacciano su un mare  mai come in questo caso davvero nostrum : teatro di tensioni, scenario di emozioni che sollevano quesiti comuni. Sia che ci si trovi nelle vie del Cairo post Mubarak, fotografate da Moataz nasr, sia che ci si spinga con Mohamed Bourouissa nelle banlieu parigine.

La Storia si ripete con inquietante ciclicità: e così le macerie di una Beirut in bianco e nero riprese nel 1982 da Fouad Elkoury si specchiano nella desolazione in scala di grigi con cui Mouna Karray racconta, un quarto di secolo dopo, lo sfascio del porto tunisino di Sfax. Zona industriale potenzialmente dinamica, incarcerata tra mura che diventano simbolo di chiusura e preclusione. Trasformandosi in un set di surreale malinconia.

Ma al di là della cronaca il Mediterraneo resta lo stesso cantato da Omero: un luogo mitico, dove realtà e finzione trovano la propria sintesi. Nei fotomontaggi con cui Panos Kokkinias inventa paesaggi plausibili ma inesistenti; nelle sovrapposizioni con cui David Maljkovic confonde la Zagabria di oggi con quella che fece da sfondo a Il processo  di Orson Welles. Nel fantascientifico video che vede Yuri Ancarani immergersi con un sottomarino in acque gelide e ostili (nella foto).