Erwitt e Berengo Gardin. Grande fotografia a Roma

2 Novembre 2014


Non sono un artista, ma un manovale della fotografia” . Così Gianni Berengo Gardin, umilissimo del disconoscere una sensibilità che invece gli appartiene e che lo rende tra i più grandi fotografi italiani in attività, maestro instancabile – e in questo, davvero, manovale! – capace di essere poeta e insieme cronista, magnifico narratore di storie minime. Divenute icone universali. Una capacità, la sua, che lo accomuna ad una delle più grandi firme del panorama internazionale. Elliott Erwitt.

Sono pressoché coetanei, da anni amici e confidenti; da sempre uniti dall’invisibile fil rouge dettato dalla curiosità e dalla necessità, dall’urgenza del racconto. Berengo Gardin ed Erwitt si incontrano oggi – e fino al prossimo mese di febbraio – a Roma: sono centoventi i loro scatti esposti negli spazi dell’Audiorium Parco della Musica, location che in modo sempre più marcato sta diventando punto di riferimento per grandi mostre sulla fotografia.

Sembra non esserci soluzione di continuità tra il lavoro dell’uno e quello dell’altro, nella suggestione di percorsi creativi che pur nell’originalità e nella smaccata caratterizzazione di ambienti e soggetti perseguono la medesima filosofia dell’immagine. Mossa da uno scavo profondissimo che non viola però l’intimità dei soggetti, con l’occhio a posarsi educato e discreto su delicate scene di familiarità, su una quotidianità di straordinario lirismo.

Un rapporto che nasce da lontano quello tra i due, da una mostra dei Erwitt che nel 1954 spinge Berengo Gardin a voler conoscere quel fotografo verso cui sente di nutrire una eccezionale affinità. Una sintonia comprovata dai fatti, dall’analoga magia dei lavori oggi a Roma: carrellata di progetti condotti da entrambi nel corso degli ultimi sessant’anni di attività. Viaggio parallelo di eccezionale magia.

[nella foto: Gianni Berengo Gardin, Venezia, 1958 – © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia]