Taranto, quando il carcere diventa “opera d’arte”

6 Maggio 2017


A partire dall’8 maggio 2017, chiunque lo desideri potrà sperimentare l’inedita esperienza de L’altra città, un percorso interattivo curato da Achille Bonito Oliva che punta a “trasformare il carcere in un’opera d’arte“. A differenza di altri progetti, anche recenti, che hanno condotto l’arte negli spazi destinati alla reclusione per supportare i detenuti nel loro percorso di riabilitazione, in questo specifico caso si registra un’ulteriore finalità.

Avvalendosi del contributo del personale in servizio e in pensione (Anppe), di selezionati esperti e degli stessi carcerati, L’altra città intende infatti presentare l’esperienza detentiva nelle sue criticità e contraddizioni a quanti non la conoscono. I visitatori avranno la possibilità di misurarsi direttamente con la dimensione fisica dei luoghi destinati alla detenzione, attraversando un percorso plurisensoriale. Strutturato in più tappe, è stato messo a punto dal noto teorico e critico Bonito Oliva in sinergia con Giovanni Lamarca, comandante del reparto di polizia penitenziaria della locale casa circondariale.
La definizione dell’itinerario, nel corso del quale i fruitori saranno stimolati a “compiere un ideale e personale percorso che dalla percezione del castigo e dell’isolamento può portare al recupero e all’emancipazione“, è stato preceduto da un laboratorio sulla didattica dell’arte. Un gruppo di detenute, guidate dell’artista Giulio De Mitri e affiancate da alcuni agenti penitenziari, è stato direttamente coinvolto nel processo preparatorio.

Come ha sottolineato Carmelo Cantone, Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria per la Puglia e la Basilicata, “L’altra città darà ai visitatori la possibilità di conoscere ciò che sono i luoghi della pena oggi in un paese di democrazia occidentale avanzata, con le contraddizioni di questi luoghi che sono le contraddizioni del nostro sistema penitenziario, per come è stato costruito, per le sue potenzialità, per le sue criticità, ma anche per come viene vissuto da chi vive e da chi lavora in carcere”.