Il collezionismo “senza confini” di Peggy Guggenheim

20 Febbraio 2020

Vista della mostra Migrating Objects. Arte dall’Africa, dall'Oceania e dalle Americhe nella Collezione Peggy Guggenheim, Venezia 2020 © Collezione Peggy Guggenheim. Photo Matteo De Fina

Tutti noi conosciamo Peggy Guggenheim per l’incredibile impegno nella diffusione dell’arte contemporanea. Grazie alla sua passione, alla sua tenacia e a un innegabile fiuto per gli affari, la celebre collezionista newyorkese è stata un riferimento cruciale per l’intera scena artistica del secondo dopoguerra, accogliendo sotto la sua “ala protettiva” nomi del calibro di Jackson Pollock, Tancredi Parmeggiani, e molti altri autori fino ad allora sconosciuti.

In pochi tuttavia conoscono la passione della “dogaressa” verso l’arte africana, dell’Oceania e delle culture indigene delle Americhe. La nuova mostra organizzata a Palazzo Venier dei Leoni di Venezia prova a fare luce su questo aspetto, puntando i riflettori sull’interesse della mecenate per le culture più “esotiche” e lontane dai nostri confini.

IL PERCORSO ESPOSITIVO

Curata da un comitato scientifico formato da Christa Clarke, R. Tripp Evans, Ellen McBreen, Fanny Wonu Veys e Vivien Greene, la mostra – dal titolo Migrating Objects. Arte dall’Africa, dall’Oceania e dalle Americhe nella Collezione Peggy Guggenheim – espone al pubblico trentacinque manufatti di provenienza non occidentale, collezionati in vita dalla Guggenheim ed esposti per la prima volta insieme, fino al 14 giugno.

Sculture di carattere sacro, contenitori cerimoniali e copricapi dell’Africa centrale vengono qui mostrati come testimonianze antropologiche d’inestimabile valore, spiccando all’interno del percorso espositivo sia in maniera autonoma, sia accostati alle opere di maestri del Novecento che pure si lasciarono ispirare dagli stimoli dell’“arte nera”.

È il caso, ad esempio, della maestosa maschera D’mba dei Baga della Guinea o del reliquiario Kota del Gabon, acquistati da Peggy alla fine degli anni Cinquanta, e qui posti in dialogo con alcune opere di Picasso – il maggior rappresentante di quella rinnovata attenzione verso l’arte tribale. Corrispondenze tra arte “primitiva” e arte contemporanea occidentale si trovano inoltre nei paralleli con i lavori di Alberto Giacometti, Max Ernst ed Henry Moore, provenienti dagli archivi della celebre collezione ed esposti con l’obiettivo di cercare inedite analogie con le produzioni indigene. Una mostra “senza confini”, nel segno della mitica collezionista americana.

[Immagine in apertura: Vista della mostra Migrating Objects. Arte dall’Africa, dall’Oceania e dalle Americhe nella Collezione Peggy Guggenheim, Venezia 2020 © Collezione Peggy Guggenheim. Photo Matteo De Fina]