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30 Dicembre 2013
Iconoclasts
Sono considerati, ognuno nel proprio campo, due rivoluzionari. Marina Abramović e James Franco si incontrano davanti alle telecamere di Iconoclasts per condividere i rispettivi “metodi”. Quello dell’artista, pratica di meditazione e introspezione che trasforma una filosofia di vita – e chi la segue – in autentica opera d’arte; e quella del cineasta, figura fondamentale per lo sviluppo di una nuova estetica dell’immagine.
Franco si trasforma, si trasfigura in una pura essenza artistica: eccolo liberarsi da ogni possibile schema mentale e affidarsi all’estro creativo di Abramović, che lo ricopre di foglie d’oro e lo plasma, meticolosa, quasi stesse cesellando una statua. Un processo di intensa suggestione, capace di stabilire un contatto di rara potenza comunicativa e straordinaria empatia; tessendo un’unione concettuale profondissima. Indissolubile.
Sei titoli dell’NBA, altrettante volte eletto miglior giocatore dell’anno; la bellezza di 38.387 punti in carriera: record assoluto per il massimo campionato di basket americano. Se Earvin Johnson Jr. è passato alla storia con il soprannome di Magic … quale potrebbe essere l’aggettivo per sintetizzare il talento di Kareem Abdul-Jabbar? Trascinatore dei Los Angeles Lakers per tutti gli Anni Settanta, l’ex-campione è protagonista di un una nuova puntata di Iconoclasts.
Ed è in buona compagnia: insieme a lui ecco Chuck D, tra i grandi nomi della scena rap internazionale. Fondatore e anima dei Public Enemy, l’mc è tra le figure più apprezzate per ricchezza di fraseggio e profondità concettuale: testi taglienti, coraggiosi i suoi; che affrontano a muso duro le contraddizioni di una società, quella americana, dove l’emancipazione delle fasce deboli della popolazione resta spesso un miraggio.
La curiosità – Troppo forte Kareem Abdul-Jabbar, già prima di entrare nel draft dell’NBA. Alla fine degli Anni Sessanta la NCAA, federazione che organizza i campionati universitari, si vede costretta a impedire per regolamento le schiacciate, nel tentativo di rendere più competitivo il torneo: la UCLA, grazie alla devastante arma offensiva rappresentata da Abdul-Jabbar, non conosce infatti rivali.
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