Quattro drammaturghi da tre paesi e due continenti diversi. Un unico lavoro, centrato sul tema (mai banale) della libertà individuale: è l’ultima sfida di Roma Europa Festival.
Sono sempre più labili i confini della libertà individuale. Lo sono a causa delle paranoie scatenate a seguito del dramma dell’11 settembre (riattizzate con gli attentati di Londra e Madrid); lo sono in virtù dell’uso sempre più spasmodico e disinvolto delle nuove tecnologie. Lo iato tra pubblico e privato, tra intimità e collettività irrompe al RomaEuropa Festival. Per un esperimento unico nel suo genere, che promette di fare storia.
Una pièce a otto mani, firmata da quattro drammaturghi di estrazione, origini, culture diverse. L’italiano Gian Maria Cervo, i bavaresi Albert Ostermaier e Maryus von Mayenburg, l’argentino Rafael Spregelburd hanno in comune solo l’anagrafe: sono tutti quarantenni. O poco più. Ma rappresentano quattro sensibilità differenti, altrettante scuole di pensiero; quattro modi di leggere la contemporaneità e di tradurla per la magia del teatro.
Call Me God prende spunto da fatti di cronaca che hanno lambito l’Europa solo di striscio, ma che hanno suggestionato gli Stati Uniti in modo inimmaginabile: i Beltway Sniper Attacks, gli omicidi seriali commessi da due squilibrati lungo le circonvallazioni di Washington e di altre città tra Virginia e Maryland. Avvenimenti la cui tragedia risulta amplificata dal linguaggio dei nuovi media, dal delirio della psicosi collettiva.
Le quattro firme sono state chiamate ad elaborare altrettanti lavori originali, cuciti insieme da Maryus von Mayenburg: a lui il compito di dare unità nella complessità; armonizzando voci tra loro distanti, senza cedere al rischio di una facile omologazione. Nasce un progetto di intensa maturità, in anteprima internazionale dal 4 al 6 novembre al Teatro Argentina di Roma; una sfida importante per la 27esima edizione del RomaEuropa Festival.