La rassegna indipendente ideata, oltre trent’anni fa, da Robert Redford incorona i big di domani. Primo premio per “Fruitvale”, film denuncia sulle recrudescenze del razzismo negli Stati Uniti
Ha conquistato la giuria ed entusiasmato il pubblico; ha vinto – oltre ai premi più prestigiosi – anche un contratto da due milioni di dollari con la casa di distribuzione che lo porterà nei cinema di tutti gli Stati Uniti. Ed è, a detta di molti, titolo su cui puntare per gli Oscar 2014. Un successo su tutta la linea quello del durissimo “Fruitvale”, opera prima del giovane Ryan Coogler, trionfatore dell’edizione 2013 del prestigioso Sundance Festival.
La rassegna, vetrina per i cineasti di domani ideata oltre trent’anni fa da Robert Redford e capace di lanciare talenti eclettici come quello di Quentin Tarantino, ha incoronato a Salt Lake City i suoi vincitori. Su tutti, appunto, “Fruitvale”: drammatico ultimo giorno di vita di Oscar, giovane afroamericano ucciso in circostante misteriose da un poliziotto bianco. Una vicenda di pura e vera cronaca, accaduta nel 2009: una ferita ancora aperta nel cuore dell’America.
Storie intense ed emozioni forti al Sundance, noto per la sua linea “impegnata” e lontana da certe leggerezze hollywoodiane. Lo dimostrano i premi assegnati nella categoria documentari, dove trionfa “Blood Brother”: Steve Hoover racconta l’esperienza africana di un giocane volontario americano, impegnato in alcune delle aree più povere del pianeta per offrire speranza a villaggi falcidiati dal virus del’HIV.
Ma al Sundance si respira anche arte. Quella dell’eccentrico pittore giapponese Ushio Shinohara, vigoroso esponente del movimento neo-dada; figura magnetica e dissacrante, incontrata da Zachary Heinzerling nel suo “Cutie and the Boxer”, che gli è valso – nella categoria documentari – il premio per la miglior regia. Un riconoscimento che, nella sezione lungometraggi, è invece andato a a Jill Soloway per “Afternoon Deligh”