L’arte che “si mangia” sostiene i musei inglesi

4 Marzo 2014


Non c’è limite alla fantasia. E nemmeno agli ingredienti che si possono usare: siano essi frutta, verdura, formaggi, prodotti da forno o anche banalissime zollette di zucchero; trattate magari come mattoncini per dolcissime architetture! L’Art Fund, organizzazione non-profit tra le più dinamiche di quelle che, in Gran Bretagna, si occupano di raccogliere risorse a sostegno della cultura, lancia il progetto Edible Masterpiece . Chiedendo agli inglesi di farsi artisti… del cibo!

Parte in questi giorni una nuova raccolta fondi, legata a un contest on-line mai così goloso. I partecipanti sono invitati a creare ricette ispirate a grandi capolavori d’arte antica o moderna, edifici famosi o paesaggi iconici: creazioni da fotografare e postare (dopo essersi iscritti e aver effettuato la propria offerta) sull’apposito sito che offre ai visitatori l’opportunità di votare il piatto più riuscito.

Un’idea che nasce dal tradizionale bake sale  di beneficenza, con la tipica vendita di dolci fatti in casa: iscrizioni possibili fino al prossimo 9 maggio per un concorso che punta a selezionare una short-list dei venticinque migliori cuochi-artisti del Paese. Per loro premi, naturalmente, a tema: si passa da biglietti per le mostre più importanti in programma nei prossimi mesi in Inghilterra fino a un week-end per due nelle località britanniche più importanti per il turismo culturale.

È riuscita a ottenere e stanziare la cifra record di 26 milioni di sterline solo negli ultimi cinque anni: l’Art Fund ha come scopo quello di contribuire all’arricchimento delle collezioni dei musei statali e al restauro delle opere; oltre che a sostenere attraverso premi e residenze i giovani artisti e promuovere la circolazione di mostre di firme importanti della scena britannica. È grazie all’Art Fund, ad esempio, se le opere presentate da Jeremy Deller per il padiglione inglese all’ultima Biennale di Venezia sono state esposte anche in patria.

[nella foto: la creazione di Kim Morphew e Lydia Brun – photo Maja Smend]