L’enigma della luce. In mostra a Venezia

12 Aprile 2014


Copre l’intero specchio della rifrazione, passando dal bianco candido dell’installazione immersiva firmata da Doug Wheeler – una bolla nella quale perdersi e stranirsi – ai dipinti al nero di Troy Brauntuch, dove comuni scene di cronaca diventano enigmi da svelare, nel riconoscimento di ombre fugaci e inquiete. L’Illusione della Luce  porta a Venezia un’indagine di spettacolare e intensa poesia. In mostra dal 12 aprile fino a fine 2014.

Una quarantina le opere della collezione François Pinault esposte a Palazzo Grassi, in un allestimento che gioca sul dialogo e sulle tensioni tra le diverse opere. Un piacevole schiaffo sensoriale, allora, il passaggio dalla delicatezza dell’Escalator  di Vydia Gastaldon, commovente arcobaleno realizzato da una pioggia di frammenti quasi pulviscolari di tessuto, e l’ironica camera ardente di Marcel Broodthaers. Con l’artista ad estetizzare l’atavica paura della morte, buio per antonomasia.

I neon di Dan Flavin e Robert Irwin assolvono al compito di un doveroso omaggio – imprescindibile, considerato il tema della mostra – ala grande tradizione della scuola minimal americana; ma è nella stanza caleidoscopio di Julio Le Parc che si sperimenta la più pura e sublime meraviglia. Una tecnologia meccanica di semplice ma stupefacente efficacia quella che permette a vaporosi fasci di luce di tessersi e intrecciarsi come ragnatele, formando strutture che rimando a sublimi architetture biodinamiche.

La luce diventa materia da plasmare, ma al tempo stesso metafora di disvelamento. Accade con Danh Vo, che riflette sulla memoria collettiva del suo Vietnam con l’elegante vedo – non vedo di fotografie Anni Sessanta obliate da tende semitrasparenti; e accade a maggior ragione con Latifa Echakhch, che traspone nel ricordo intimo evocato dai fiori di gelsomini segni e simboli che hanno contraddistinto le rivolte della Primavera Araba.

[nella foto: Vydia Gastaldon, Escalator]