È passato un secolo, ma la lezione estetica della Vienna di Klimt e Schiele è ancora di stringente attualità. Come dimostrano a Bologna le fotografie di Tania Brassesco e Lazlo Passi Norberto, che ricostruiscono affascinanti set fin de siècle
I set sono allestiti con cura quasi maniacale, ricostruendo con precisione infinitesimale non solo le pose e i costumi; ma soprattutto la luce, i colori, le atmosfere, gli aromi. E al tempo stesso, in un apparente paradosso, travolgendo e rimescolando il tutto in una composizione che nega pur nella fotografia la fissità dell’immagine, facendosi storia e racconto. Schegge narrative di raffinata eleganza quelle che Tania Brassesco e Lazlo Passi Norberto portano in mostra a Bologna, fino al 18 luglio, allo spazio C.U.BO.
Un sodalizio nato tra le aule dell’Accademia di Belle Arti di Venezia quello tra due artisti giovanissimi – entrambi non raggiungono i trent’anni – ma già protagonisti di personali e collettive in importanti spazi a Parigi e New York. Una simbiosi creativa che punta a fondere nell’istintiva istantaneità dello scatto linguaggi molteplici e complementari: la pittura, presupposto fondamentale, e poi cinema e performance.
Sono veri e propri tableaux vivant quelli che la coppia costruisce davanti all’obiettivo della macchina fotografica, mettendo in scena in modo al tempo stesso rigoroso ma personalissimo le situazioni di grandi classici dell’arte di ieri. Guardando in modo privilegiato, almeno per quanto riguarda la serie di lavori presentata a Bologna, alle malinconiche nuance fin de siècle della Secessione Viennese. Riportando il calendario indietro di cento anni esatti.
Tania Brassesco assume i panni della performer, posando come se davanti a sé non ci fosse una macchina fotografica ma un cavalletto, non Lazlo Passi Norberto ma Egon Schiele. Passando senza soluzione di continuità dalla rievocazione pressoché perfetta – come nel caso dell’opera ispirata a The black feather hat di Gustav Klimt, nella foto – alla liberissima e originale interpretazione. Frammento antinostalgico di un’estetica che, nella sua decadenza, sa costruire empatie subliminali tra le tensioni di allora e quelle della nostra epoca.