Damien Hirst, Michelangelo Pistoletto, Pascal Marthine Tayou, Wim Delvoy. Grandi maestri di oggi in scena ad Arezzo, città del Rinascimento: incroci suggestivi quelli proposti da “Icastica”
È la città dove sono nati Giorgio Vasari e Francesco Petrarca, la stessa dove hanno lavorato i più grandi nomi del Rinascimento: da Masaccio a Piero della Francesca. Ma non per questo si chiude su stessa, nella contemplazione di un nobile passato: Arezzo si reinventa città del contemporaneo con la seconda edizione di Icastica , evento che da questi giorni e fino alla fine di ottobre trasforma la città toscana in un vero e proprio museo a cielo aperto.
Quaranta gli artisti internazionali chiamati a intervenire con le proprie creazioni nei luoghi più significativi del centro storico, sfruttando naturalmente palazzi e collezioni, ma agendo anche en plain air . Con i risultato di trasmettere ovunque il messaggio di una rassegna quest’anno giocata sulla fascinazione del concetto di crisi: inteso come termine non più negativo ma generativo, là dove è nella reazione alle avversità che si misura lo spirito di energia connaturato all’arte.
In questo senso calzano a pennello, lungo Corso Italia, i voli pindarici di Michal Trpak: le sue sculture si stagliano nel cielo della città agganciate a cavi come straniti funamboli, riproducendo donne e uomini sospinti in aria da invisibili aliti di vento, aggrappati a ombrelli trasformati in alianti e paracaduti. Mentre Rashad Lakbarov vince il caos di strutture lignee apparentemente disordinate grazie a un fascio di luce: nell’ombra che proiettano cataste e fascine si formano infatti parole che invitano ed esortano. Dando speranza.
Diversi i big della scena internazionale presenti ad Arezzo. Partendo da Michelangelo Pistoletto e arrivando a Per Barclay (strepitosa la sua crocefissione minimal nella basilica di San Domenico), spostandosi da Wim Delvoy a Pascal Marthine Tayou. Chiudendo con il discusso Damien Hirst, al centro di vibranti proteste nei giorni antecedenti l’inaugurazione di Icastica : non è piaciuta a diverse associazioni di ambientalisti la collocazione in città di una delle sue opere più scandalose. Il cadavere di una pecora, perfettamente conservato, immerso in una teca piena di formaldeide.