Pascali e Ghirri. Due artisti tra cielo e mare

18 Ottobre 2014


Uno ci ha messo il mare della sua Puglia, luogo mentale che diventa icona di una fluida cultura orizzontale: spazio della memoria e della tradizione, alieno all’idea di confine; elemento antico, omerico, simbolo della civiltà mediterranea. L’altro ha scelto per il cielo sconfinato della natia Emilia, immensa campitura in scala di blu che scorre in parallelo alla pianura, nella suggestione di una meraviglia eterna.

Due differenti sensibilità quelle che hanno animato l’arte di Pino Pascali e quella di Luigi Ghirri, riunite in modo intrigante negli spazi del museo che a Polignano a Mare porta il noma – e custodisce il ricordo – dello stesso Pascali. Due visioni dell’infinito così distanti eppure così affini: per delicatezza e forza espressiva, per potenza immaginifica ed eleganza narrativa e concettuale.

Una mostra, due sole opere. Ma tanto chiare, nette, definitive da valere come summa della poetica dei loro autori. Con 32 metri quadrati di mare circa  (oggi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma) Pascali gioca con la dicotomia tra ordine e disordine, finito e infinito. Ecco disposta nello spazio una trentina di vaschette quadrate colme d’acqua colorata all’anilina, illusione di costrizione dell’incomprimibile (il mare appunto), in realtà dominato, piegato alle leggi della geometria dell’uomo.

È una griglia anche quella in Luigi Ghirri costringe un altro elemento per definizione inafferrabile. Siamo nel 1974 quando il fotografo sceglie di scattare un immagine al giorno, per un anno intero, componendo un enorme mosaico dove le tessere sono disposte per assonanze cromatiche, sfalsando ogni tipo di cronologia. Con la variabile temporale a innestarsi su quella spaziale, per un ulteriore sublime cortocircuito.