In principio era un evento biennale e non si teneva neppure a Milano. Poi si trasformò, trovò casa nel palazzo disegnato da Giovanni Muzio e diventò, per tutti, la Triennale. Che ora torna, in parte, a Monza: inaugura nella Villa Reale un percorso nella collezione permanente del design italiano.
In principio, nel 1923, venne la Biennale delle Arti Decorative, ospitata nelle sale maestose della Villa Reale di Monza. Nel 1930 l’appuntamento assunse cadenza triennale, e dalla sua quinta edizione si trasferì a Milano, nel Palazzo dell’Arte disegnato da Giovanni Muzio per quella che, ancora oggi, è la Triennale. Ente che ha nel corso degli anni ha assunto un carattere di primaria importanza nella ricerca e nella valorizzazione della creatività made in Italy .
Complice il recente restauro dell’ala nord della Villa Reale, la Triennale torna almeno in parte a casa, là dove cominciò la propria avventura esattamente novant’anni fa. Trova spazio nel Belvedere della dimora storica, reinterpretato da Michele De Lucchi, l’esposizione permanente di duecento pezzi (circa un quinto del totale) della collezione del Triennale Design Museum, preziosa raccolta che documenta almeno un secolo di geniali creazioni, firmate da grandi maestri dello stile.
Un agile e pregevole riassunto di cosa il made in Italy significhi per il mondo, testimoniato da oggetti che hanno lasciato il segno e scritto pagine importanti sulla scena internazionale. Presenti, con le proprie opere più significative, tutti i più grandi designer dell’età dell’oro di una Milano capitale indiscussa della creatività: Piero Fornasetti, Giò Ponti, Franco Albini e ovviamente Bruno Munari. E poi spazio ai fratelli Castiglioni con la leggendaria lampada Arco , e alla Lettera 22 disegnata da Marcello Nizzoli per Olivetti.
Attraverso figure trasversali come quella di Alessandro Mendini, trait d’union tra diverse generazioni ma anche tra modi diversi di guardare alla creatività, arriviamo alle nuove generazioni del design italiano. Ai Fabio Novembre e ai Martino Gamper insomma, ma anche ai più giovani Formafantasma, espressione di una cultura progettuale 2.0: che rivendica orgogliosamente le proprie radici italiane, ma sa dialogare in modo vincente con il resto del mondo.