Neanche trascorse due settimane dall'apertura della retrospettiva al Centre Pompidou, l'artista è stato accusato per ben due volte da altrettanti autori di aver infranto le leggi sul copyright
Due accuse di plagio in due settimane di mostra o poco più: che Jeff Koons stia suo malgrado cercando di battere un altro record? Lo statunitense, che dei gusti kitsch della classe media americana è allo stesso tempo baluardo e castigatore, è già in vetta alla classifica degli artisti più quotati dell’arte contemporanea: uno dei suoi monumentali Balloon Dog – serie di cinque sculture metalliche differenti solo per il colore – è stato venduto da Christie’s nel 2013 per l’astronomica cifra di 58 milioni di dollari.
Può non stupire i più smaliziati, quindi, che spesso e volentieri un creativo decida di intentare causa a Jeff Koons per essersi ispirato – sempre troppo letteralmente – a una sua precedente opera, e far valere così i propri diritti morali (e patrimoniali, certo) in qualità di co-autore della nuova creazione. Finora, la legge ha nella maggioranza dei casi deciso a sfavore di Koons, con buona pace dei suoi legali che cercano di difendere l’originalità dell’opera derivata invocando il cosidetto fair use di anglosassone concezione, ovvero il diritto di fare di un’opera la sua stessa parodia. Koons ha perso infatti una causa nel 1992 ed è stato riconosciuto colpevole una seconda volta per l’utilizzo indebito di Odie, un personaggio di Garfield.
A fine dicembre, l’artista e lo staff del Centre Pompidou hanno ricevuto una lettera dalla moglie del fotografo Jean-François Bauret, scomparso nel 2014, secondo la quale la scultura Nakea (1988, a destra nella foto di apertura) costituirebbe una copia pedestre di una fotografia del marito (a sinistra, nello stesso riquadro). L’opera di Koons non appare in mostra, ma è comunque presente nel catalogo: dal museo hanno fatto sapere che non è stata esposta a causa di un leggero danno subito durante il trasporto.
È la seconda volta dall’inizio della mostra – e la quarta in generale – che un’opera della serie Banality viene segnalata da un altro “avente diritto” per violazione di copyright. La scultura Fait d’Hiver (1988) è stata infatti estromessa dalla retrospettiva a stretto giro dall’inaugurazione, a causa della polemica generata dall’accusa di plagio lanciata dal creativo Franck Davidovici, che nel 1985 aveva creato un’analoga immagine per una campagna pubblicitaria del brand Naf Naf.
Il confronto tra le opere originali e quelle di Koons parla da sé, non c’è dubbio.
Come non c’è dubbio che, dai tempi di Marcel Duchamp, la cosiddetta appropriazione (di oggetti e cose di uso quotidiano, quali in ultima analisi sono diventate anche le immagini) sia una pratica artistica diffusa, anzi storicizzata. Lo stesso presidente del Centre Pompidou, Alain Seban, ha dichiarato che l’appropriazione è uno degli strumenti di lavoro dell’arte contemporanea. Ai sensi della legge, Andy Warhol avrebbe potuto essere citato da Brillo per l’utilizzo indebito del suo logo… e Roy Lichtestein accusato di copiare più di un fumettista.