In scena al Centre Pompidou di Parigi la più grande retrospettiva mai dedicata al lavoro di Jeff Koons. Tra pop e kitsch l’arte di uno tra i più controversi e scomodi protagonisti del nostro tempo
È tale e tanta l’esposizione mediatica a cui sceglie di sottoporsi da distogliere spesso l’attenzione dal senso profondo del suo lavoro. Il nome di Jeff Koons da sempre e a maggior ragione negli ultimi tempi, fa rima con il concetto di polemica: per le quotazioni record raggiunte da opere che fanno di lui uno tra gli artisti viventi più pagati al mondo; per le accuse di plagio intentate da quanti non tollerano le sue appropriazioni di situazioni e modelli che sono icone del presente.
Era dunque necessaria la mostra ospitata fino a fine aprile al Centre Pompidou per ristabilire le giuste distanze, per assestare la messa a fuoco e osservare in modo lucido e analitico l’esperienza di un protagonista assoluto del nostro tempo. Una retrospettiva mai così completa quella apparecchiata nel museo parigino, a coprire con eccezionale rigore una carriera che si avvicina ormai ai suoi primi quarant’anni.
A dominare il lavoro di Koons è la tensione della leggerezza, preconizzata dagli Inflatables di fine Anni Settanta – irresistibili i fiori e i coniglietti gonfiabili che aggiornano l’iconografia della Pop Art – ed esaltata con le recentissime Gazing Balls , sfere colorate poste in improbabili metafisici equilibri a tu per tu con calchi in gesso di statue classiche. In mezzo un processo di costante messa in discussione della società dei consumi, dei suoi schemi di comunicazione. Delle sue falsità.
È leggerissimo il famoso Balloon Dog , scultura che replica in i palloncini piegati dai clown in forme animali; ma è al tempo stesso pesantissimo perché fuso in metallo con effetti mimetici impressionanti. E sono leggerissimi i palloni da basket che galleggiano sospesi negli acquari di Tanks , salvo scoprirsi ancora una volta caricati di una dimensione plastica e di una presenza che tradisce violenta densità. L’elemento aereo, il soffio liberatorio che permea le opere di Koons è allora sublime tentazione, illusione di fuga sempre trattenuta dalla zavorra delle convenzioni, dal luogo comune, dal trash e dal kitsch.