In mostra a Capena le opere collezionate negli anni da Carmen e Reinhold Würth, tutte appartenenti all'Art Brut. Genere che mostra come la disabilità intellettiva non sia per forza un limite; di certo, non lo è per l'espressione artistica.
Art Brut, arte irregolare, Outsider Art: tante definizioni, per l’unico genere di arte che non è possibile definire. Perché realizzata da persone il cui stesso intelletto trascende spesso la comprensione da parte dei propri simili. Noi, le persone “normali” che definiamo “disabilità intellettiva” la particolare condizione di alcuni individui.
In realtà, essi sembrano spesso vedere oltre – più che vedere meno – i nostri orizzonti culturali. Seguiti in “atelier assistiti” – come ce ne sono in Germania – o incoraggiati a esprimersi da quei pochi che ne comprendono la spiccata sensibilità, alcuni di loro si sono rivelati infatti dei grandi artisti. E non soltanto all’interno della loro “cerchia”, ma realizzando opere di valore per tutta la collettività. Basta fare un nome su tutti: Antonio Ligabue.
A dire il vero no, non basta. La Collezione Würth serve infatti a smentire l’eccezionalità del singolo caso, che quindi confermerebbe la regola (della disabilità altrui come limite, innanzitutto artistico). In anni di collezionismo, Carmen e Reinhold Würth hanno appunto raccolto un corpus di opere in grado di mostrare la qualità dei risultati estetici degli artisti irregolari, suffragando una volta di più l’intuizione già avuta da Jean Dubuffet, che per questo genere di produzione artistica coniò nel 1945 la definizione di Art Brut, arte grezza. Grezza non necessariamente nella resa estetica, ma innanzitutto per la sua collocazione al di là di qualsiasi convenzione sociale ed etichetta condivisa. Un’arte istintitiva, forse sarebbe meglio definirla, immagine immediata di un collegamento profondo con la propria vita inconscia che, nella società contemporanea, noi “regolari” abbiamo riscoperto solo grazie alla psicanalisi.
La mostra Nasi odorano tulipani. L’arte irregolare nella Collezione Würth è un’occasione importante, nonché una splendida alternativa al lettino dello psicanalista, per tornare appunto in contatto con il nostro Io infantile, ludico… primitivo. Inaugurata oggi, l’esposizione porta per la prima volta in Italia – presso l’Art Forum Würth Capena, alle porte di Roma – un ampio nucleo di opere della Collezione appartenenti proprio al genere dell’arte irregolare.
L’iniziativa prende il nome dal titolo stesso di un’opera in mostra, realizzata da Uwe Kächele. In totale, sono oltre venti gli artisti rappresentati attraverso una selezione di sculture, dipinti e disegni, tra i quali David Christenheit (*1972), Helmut Widmaier (1927-2011), Rosemarie Hübner (*1959), Walburga Brai (*1943), Martin Udo Koch (*1965) e Georg Würz (*1951).
[Foto d’apertura: Martin Udo Koch (1965), Momo, 1998. Composizione di oggetti d’uso, tecnica mista. 115 x 150 x 30 cm. Collezione Würth]