Sono stati annunciati stamattina tutti i vincitori della 58º edizione del World Press Photo, il più importante premio dedicato al fotogiornalismo nel mondo.
Due dati balzano subito all’occhio, scorrendo la lista – o la photogallery – dei reporter vincitori della 58º edizione del Wolrd Press Photo, il più importante premio dedicato al fotogiornalismo nel mondo.
Il primo fatto testimonia appunto la concezione – finalmente – allargata dell’internazionalità di questo riconoscimento. La regola generale, confermata a dispetto di sporadiche eccezioni, ha finora dato per vincitori per lo più giornalisti occidentali, su soggetti e temi appartenenti spesso e volentieri al “resto del mondo”. Oggi, un consistente numero di fotografie selezionate nelle diverse categorie è ancora incentrata su questioni e drammi sociali che si svolgono ai quattro angoli del globo; la differenza, però, è che a testimoniarne sono sempre più spesso fotografi che in quelle aree vivono e operano.
Una prova su tutte: era dal 2008 che il fotogiornalismo cinese non si aggiudicava così tanti riconoscimenti. In quell’anno, però, a Pechino si tennero le Olimpiadi e il Terremoto del Sichuan fece più di 69mila vittime. Questa volta, le immagini che ci giungono dalla Cina non raccontano necessariamente breaking news – quel genere di evento unico e irripetibile che, nel bene o nel male, conta innanzitutto esserci.
Segno che i fotografi e giornalisti sono ormai capaci di raccontare criticamente lo sviluppo, economico e sociale, della popolazione di cui pure fanno parte. Una corrispondete maturità è forse da ascrivere anche ai media dei cosiddetti Paesi già sviluppati, i maggiori committenti dei reportage candidati al World Press Photo: giornali, magazine e noi stessi, che ne costituiamo il pubblico, siamo finalmente pronti a recepire come di nostro interesse culture – e dibattiti – lontani dalla nostra normalità, al di là dell’emergenza strillata in prima pagina.
La seconda particolarità di questa edizione del World Press Photo riguarda la mancata assegnazione di un premio: nella categoria dei reportage sportivi (Sports Stories), il terzo gradino del podio è rimasto vacante. A spiegarne la ragione, non senza sconforto, è stato il direttore generale del World Press Photo, Lars Boering, interrogato dal British Journal of Photography: una volta entrati nella rosa dei candidati finalisti al premio, i fotografi hanno sottoposto alla giuria non solo l’immagine finale, ma anche lo scatto originale – in file Raw o direttamente in negativo… rivelando, così, come molti di loro avessero manipolato le fotografie ben oltre una “legittima” (nel senso di etica) post-produzione.
“Molti fotografi avevano aggiunto o sostituito elementi all’immagine”, commenta a tal proposito un membro della giuria, Michele McNally. Il dibattito continuerà di certo nel corso dei prossimi giorni, dato che il fotografo sportivo Bob Martin – nonché specialista per la categoria al World Press Photo – giudica dal canto suo “inaccettabili” gran parte delle squalifiche comminate: “Se alcune aree sono state bruciate, o i contrasti accresciuti, dov’è il problema? Lo facevamo già in camera oscura, e ora Photoshop è la nostra, nuova camera oscura”.