L'analisi della carta e dello stile pittorico avrebbero permesso alle più recenti indagini condotte sul celebre manufatto di attestarne l'origine: si tratterebbe del più antico volume giunto fino a noi dall'America, databile al XIII secolo.
Sebbene rimanga ampiamente irrisolto il mistero del suo ritrovamento – sarebbe stato rinvenuto, negli anni Sessanta, in una grotta in Chiapas, in Messico, per poi finire nella mani di un collezionista in circostanze tutte da verificare – il Grolier Codex dei Maya si troverebbe, finalmente, ad un punto di svolta.
Dopo aver stimolato per decenni l’interesse degli studiosi, da tempo divisi in merito alla sua attendibilità, il manoscritto è stato sottoposto a una nuova indagine condotta presso la Brown University di Providence. I risultati fugherebbero molti dubbi, andando ad attestare l’autenticità del volume che così diventerebbe il più antico dei manoscritti dell’America giunti fino ai nostri giorni.
Nelle sue 11 pagine, sono riprodotte immagini di divinità precolombiane secondo gli stilemi della tipica iconografia Maya. In particolare, le recenti analisi condotte sulla tipologia di carta ne farebbero risalire l’origine al XIII secolo. A questo dato si aggiunge la circostanza secondo la quale alcune delle divinità riprodotte non erano ancora state scoperte al momento del ritrovamento del Grolier Codex, condizione che avrebbe reso pressoché impossibile ad un autore del secolo scorso rappresentarle con modalità e colori tipici dello stile Maya.
Per analizzarlo da vicino, è necessario spostarsi a Città del Messico: il manoscritto è conservato presso la Seccion de Arqueologia del Museo Nacional de Antropologia, nella capitale messicana.