L’ex bassista dei Pink Floyd sta progettando un concerto simile a quello tenutosi dopo la caduta Muro di Berlino, per protestare contro l'iniziativa “separatista” del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
Roger Waters ha scritto The Wall – l’undicesimo album dei Pink Floyd, pubblicato nel 1979 – pensando a tutt’altro che a un muro di cemento, ma piuttosto a una barriera mentale, al disagio dell’isolamento psicologico.
Tuttavia, questo album seminale nella carriera della storica band britannica ha assunto negli anni proprio questa valenza accessoria, tanto che, nel luglio 1990, Waters lo ha portato in scena a Berlino, per commemorare la caduta del muro della capitale tedesca otto mesi prima.
Ora, sta progettando un concerto simile per protestare contro il “muro” di Donald Trump, pianificato per rendere fisicamente più netto – e meno valicabile, naturalmente – il confine meridionale tra Stati Uniti e Messico. In un’intervista recentemente rilasciata all’agenzia stampa internazionale AFP, l’ex bassista e cantante dei Pink Floyd ha spiegato che il muro è “diventato molto rilevante ora che c’è il signor Trump che fa tutto questo parlare di costruzione di steccati, creando quanto più inimicizia possibile tra razze e religioni”. Waters è giunto così alla conclusione che The Wall “parla sicuramente di quanto sia dannoso erigere barriere a livello personale, ma anche in un senso più ampio”.
Per questo motivo, si sente pronto a mettere in scena una performance dell’album, proprio vicino al luogo dove dovrebbe essere costruito il muro del neo-eletto Presidente degli Stati Uniti. “Ma sarà prima necessario un risveglio contro queste politiche di estrema destra – ha aggiunto Waters. “La musica è un posto legittimo dove poter esprimere la propria protesta, i musicisti hanno un diritto assoluto, un dovere, di aprire la bocca per parlare.”