Alla Fondazione Riccardo Catella di Milano va in scena il racconto per immagini della città russa di Tkvarcheli, indagata dalla fotografa Maria Gruzdeva all'indomani del crollo del Muro. Un progetto che, mettendo in relazione paesaggio, architettura e suoi abitanti, le è valso la vittoria della prima edizione del premio biennale intitolato a Gabriele Basilico.
Lo scorso 13 aprile, si è conclusa ufficialmente la prima edizione del Premio Basilico, riconoscimento internazionale dedicato alla fotografia di architettura e paesaggio, intitolato naturalmente alla memoria del più grande autore italiano specializzato in questo specifico soggetto, Gabriele Basilico. Su iniziativo dello Studio, dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Milano e della Fondazione Studio Marangoni, il premio biennale raccoglie l’eredità del Maestro – scomparso nel 2013 – promuovendo l’attività di giovani under 35 proprio in quest’ambito.
Presso la Fondazione Riccardo Catella, che fino al 29 aprile ospiterà in mostra gli scatti della serie vincitrice del Premio, è possibile così osservare La canzone di Tkvarcheli, opera della russa Maria Gruzdeva che si è distinta in questa edizione a cui hanno preso parte ben 42 autori, provenienti da 28 Paesi e 5 continenti, indicati da 29 selezionatori internazionali. Il Premio ha appunto sostenuto il progetto di Maria Gruzdeva, aiutandola finanziariamente a compiere la sua ricerca in vista di questa esposizione e della relativa pubblicazione del libro fotografico.
La fotografa ha indagato la città che dà il titolo alla raccolta di immagini in mostra; una ex “carbon town” dell’epoca sovietica che ora si è ridotta al fantasma di se stessa. Quello ritratto da Maria Gruzdeva è una sorta di scenario post-apocalittico, dove l’unico indizio concreto del ruolo strategico rivestito da Tkvarcheli in passato è la sua architettura: “Oggi sorge in luoghi che hanno perso la loro forza – gli spessi muri in pietra sono coperti di muschio e i pilastri sono avvolti dall’edera – ma questo non fa che sottolinearne l’importanza, come se gli edifici fossero i resti di un’antica civiltà, misteriosa e irraggiungibile“, commenta l’autrice.