Il percorso espositivo della mostra Prototypes, in corso in California, presenta al pubblico delle "opere" involontarie, che non sono state affatto create per un intento estetico: provocatoriamente, è l'artista Christoph Büchel ad aver dichiarato "land art" gli otto prototipi di quel colossale muro che in futuro potrebbe dividere i due Stati.
Gli 8 prototipi del muro che il governo degli Stati Uniti ha commissionato ad alcune aziende, in risposta alla richiesta del presidente Donald Trump di innalzare un confine invalicabile con il Messico, sono visibili a Otay Mesa, a San Diego, nello Stato della California.
Come noto, nel corso della campagna elettorale Trump fece del “muro” uno dei suoi cavalli di battaglia e una volta eletto tenne fede a quel proposito, firmando, tra i primi provvedimenti presi, anche quello relativo alla costruzione dello sbarramento di circa 2mila miglia lungo il confine sud-occidentale del Paese.
Una disposizione che ha animato per settimane il dibattito internazionale, dividendo l’opinione pubblica.
Nonostante le posizioni critiche e avverse, pare che il Dipartimento della sicurezza interna si sta occupando del coordinamento della non facile operazione, passando dalle parole ai fatti. Si è giunti così alla prototipazione di otto diversi tipi di muro, con un investimento pari a circa 3,3 milioni di dollari in questa prima fase. Avviata nel settembre 2017, la realizzazione di questi modelli di muro è stata ultimata un mese dopo proprio a Otay Mesa.
Ora, una misteriosa organizzazione artistica no profit chiamata MAGA ha “adottato” il sito dove sono stati collocati i prototipi di mura, equiparandola a una nuova forma di land art: la definisce un’esposizione, ribattezzata – naturalmente – Prototypes, per la quale fino al 28 gennaio sono addirittura organizzate delle visite guidate. Cosa c’è da mostrare? Nient’altro che i quattro prototipi sviluppati in cemento armato e gli altri quattro, che incorporano materiali da costruzione aggiuntivi.
Se la provocatoria operazione concettuale non fosse già abbastanza chiara, l’organizzazione – inesistente, dal momento che dietro vi si cela l’artista svizzero-islandese Christoph Büchel – ha lanciato sul sito web dedicato alla “mostra” una petizione. Obiettivo? Richiedere l’iscrizione di questi “muri della discordia” nella lista dei monumenti nazionali, affinché indipendentemente dal loro prossimo impiego vengano comunque “preservati e protetti per tutte le future generazioni”.
In un’intervista al New York Times, Büchel ha dichiarato infatti che questi interventi, al di là del loro notevole impatto visivo, nel futuro diranno molto della nostra epoca. E come dargli torto: “Potranno ricordare alle persone che una volta c’è stata quest’idea, di costruire una frontiera“. Monumentale, come un involontario – drammatico – intervento di land art.