Non solo autori dell'Arte Povera storicamente intesa, ma anche artisti della Transavanguardia quali Sandro Chia e Francesco Clemente, o fotografi del calibro di Luigi Ghirri e Mario Giacomelli, hanno contribuito in circa due decenni, a partire dagli anni Sessanta, al recupero di tecniche basilari e mezzi espressivi "poveri", appunto, quali il disegno e la fotografia. Facendo di questi due media degli strumenti adatti all'arte militante, alla critica sociale cui gli autori davano voce attraverso le proprie opere.
Per quanto abbia contribuito a scardinare gran parte delle pratiche artistiche tradizionali, grazie all’introduzione di materiali “vivi” nelle proprie opere e installazioni – dalle luci al neon al ghiaccio – l’Arte Povera si è espressa con originalità attraverso medium più consueti, quali il disegno e la fotografia.
Proprio questi due mezzi espressivi sono stati scelti per raccontare il movimento artistico italiano, uno dei pochi capaci di varcare i confini nazionali e raggiungere fama a livello internazionale, nella mostra appena inaugurata presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, intitolata appunto Dentro il cielo compare un’isola. Le arti povere in Italia fra disegno e fotografia (1963 – 1980).
Sono ben 32 gli artisti selezionati dal curatore Andrea Bruciati per il focus espositivo, che dimostra come il ricorso al disegno e alla fotografia rientrasse perfettamente nell’estetica del movimento, per definizione teso a “contestare” la società consumistica in pieno boom economico; attraverso l’impiego di media “poveri”, appunto. Per quanto “banali” all’origine, la carta e la pellicola funzioneranno per gli artisti come strumento che recupera appunto la dimensione contingente e il senso dell’azione come vere componenti del fare arte, che quindi rifiuta il ruolo di “produttrice di oggetti” ad alto valore economico o sociale.
Secondo il curatore, “Nel clima mutato degli ‘anni di piombo’, l’artista cerca di farsi portavoce di un codice alternativo capace di portare alla luce le contraddizioni della tecnica e le arbitrarietà mistificanti del suo linguaggio che pertanto viene iterato, serializzato, in un parossismo scientifico dove traspare un intento quasi prometeico nell’andare oltre il dato sensibile per rivelare le strutture connotative a fondamento dell’opera.”
[Immagine in apertura: un disegno di Gino De Dominicis]