C'è anche una ceramica restaurata con la celebre tecnica giapponese del kintsugi, tra i preziosi esemplari in mostra a Torino, fino al 10 febbraio prossimo. Con questo progetto espositivo temporaneo, il MAO concede spazio anche a quelle culture e a quelle produzioni artistiche nom rappresentate nelle sue collezioni permanenti: nel caso specifico, si focalizza su cinque secoli di storia della ceramica cinese.
Cinque secoli di cultura cinesi vengono raccontati attraverso le preziose ceramiche esposte, a partire dall’1 novembre, al MAO Museo d’Arte Orientale. L’occasione è la mostra Sfumature di terra. Ceramiche cinesi dal X al XV secolo, che presenta al pubblico manufatti databili tra la dinastia Song e la dinastia Yuan.
Si tratta in larga parte di pezzi monocromi, esemplificativi delle produzioni delle maggiori fornaci del periodo, che documentano l’alto livello di finezza raggiunto da quest’arte in Cina. Le opere esposte fino al 10 febbraio prossimo, appartenenti a un collezionista torinese che ha scelto di metterle temporaneamente a disposizione dell’istituzione culturale, consentono di cogliere gli orientamenti del gusto e il miglioramento della tecnica raggiunto a partire dalla dinastia Song (960-1279) in poi.
Sulla scia del diffondersi della cultura del tè, a quel punto ormai diffusa in tutta l’Asia orientale, crebbe l’interesse verso la porcellana e il grès, sostenuto anche da un’idea precisa: dare valore nella trasmutazione della materia grezza in oggetti raffinati.
Nel viaggio alla scoperta di questo microcosmo di bellezza e creazione artistica si possono evidenziare anche connessioni con altri popoli dell’area asiatica e con i loro gusti decorativi. Con i mongoli e attraverso la (ri)scoperta delle ceramiche bianche e blu di ispirazione medio-orientale, la ceramica cinese iniziò a orientarsi verso una maggiore attenzione alla perfezione tecnica e un formalismo decorativo/pittorico a tinte forti.
Tra i manufatti esposti c’è anche una ceramica restaurata con la celebre tecnica giapponese del kintsugi (金継ぎ). In questo caso l’oro – o un altro metallo prezioso – viene impiegato per saldare insieme frammenti separati in seguito a una rottura o per colmarne le lacune che comprometterebbero l’integrità dell’opera. Si tratta di una pratica nata durante lo shogunato di Ashikaga Yoshimasa (1435-1490) e, secondo la tradizione, lo stesso Yoshimasa l’avrebbe in un certo senso “incentivata”, dopo aver rotto una delle sue tazze preferite. Il coinvolgimento di alcuni artigiani giapponesi per la sua riparazione li avrebbe spinti a provare a trasformarla in gioiello, riempiendo le crepe con resina laccata e polvere d’oro. Una modalità di “riparazione” destinata ad avere successo anche in Cina, oltre a diventare di ispirazione anche ai giorni nostri.